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SPRINTT, come vincere la fragilità e favorire un invecchiamento di successo

12 Maggio 2022
Ricerca

Sul “British Medical Journal” i risultati dello studio SPRINTT condotto presso l’Università Cattolica e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Un intervento basato su esercizi aerobici, di forza, di equilibrio e su un programma alimentare individuale riduce del 22% il rischio di disabilità motoria negli over-70.

Uno studio europeo guidato da ricercatori italiani della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS -Università Cattolica, campus di Roma e pubblicato sul “British Medical Journal” certifica che uno specifico programma di attività fisica di intensità moderata, insieme a consigli dietetici personalizzati, combatte la fragilità connaturata all’ invecchiamento riducendo il rischio di disabilità.  Primo passo per una longevità migliore.

Lo studio è stato condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Geriatriche e Ortopediche dell’Università Cattolica, Campus di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS guidati dai professori Roberto Bernabei, Francesco Landi ed Emanuele Marzetti  nell’ambito dello studio SPRINTT (Sarcopenia and Physical fRailty IN older people: multi-componenT Treatment strategies), un progetto europeo finanziato nel 2014 dalla Innovative Medicines Initiative (IMI-Joint Undertaking), una partnership pubblico-privata tra Commissione Europea e Federazione Europea delle Industrie Farmaceutiche. Il progetto SPRINTT ha definito una nuova condizione clinica, la “fragilità fisica e sarcopenia” che ha permesso di generare un nuovo filone di ricerca nell’ambito dell’Healthy Ageing e che apre la strada a trattamenti innovativi per la prevenzione del declino fisico insito nel processo di invecchiamento.

Nell’arco di un periodo di osservazione di 3 anni, la combinazione di esercizi aerobici (come camminare), di forza, flessibilità ed equilibrio, insieme a una consulenza nutrizionale personalizzata, ha ridotto del 22% il rischio di sviluppare disabilità motoria in anziani residenti in comunità con le tipiche caratteristiche dell’invecchiamento: fragilità fisica e diminuita muscolatura (sarcopenia), spiegano i professori Bernabei, Landi e Marzetti.

La fragilità è connaturata all’ invecchiamento, è il primo segno delle stesso e della diminuita capacità ad opporsi ad eventi negativi. La pandemia l’ ha dimostrato con chiarezza colpendo in modo sistematico gli anziani. Dalla fragilità si passa alle limitazione funzionali ed alla disabilità motoria a determinare un invecchiamento “patologico”, pesante fardello sia per l’individuo che per la sostenibilità dei sistemi socio-sanitari. L’ opposto del ricercato invecchiamento di successo. Mentre la maggior parte delle persone non si aspetta di godere di perfetta salute in età avanzata, molti sperano che la propria condizione fisica permetta loro di lavorare fino a che ne abbiano voglia, uscire e socializzare, essere indipendenti e capaci di badare a se stessi. Studi recenti hanno evidenziato che la performance fisica delle persone anziane è associata alla capacità di avere relazioni sociali e al numero di interazioni interpersonali sostenute. Inoltre, l’utilizzo delle risorse sanitarie e assistenziali aumenta col peggioramento del declino funzionale, spesso in maniera indipendente dal numero e dalla natura di eventuali patologie presenti. I costi economici della disabilità motoria in Italia e in Europa sono aumentati negli anni fino a raggiungere diversi punti del PIL. Dal report Istat “Le condizioni di salute della popolazione anziana in Italia – Anno 2019” del luglio 2021, si evince che in Italia sono circa 3 milioni e 860mila gli anziani con gravi difficoltà nelle attività di base della vita quotidiana, pari a oltre il 28% della popolazione di 65 anni e più. Di essi, 2 milioni e 833mila hanno gravi difficoltà nel camminare o nel salire o scendere le scale senza l’aiuto di una persona o il ricorso ad ausili. Esistono poi importanti differenze di genere e territoriali. Le persone con gravi difficoltà nelle funzioni motorie e nelle attività di base sono più concentrate tra le donne che risiedono nelle regioni del Mezzogiorno rispetto agli uomini e alle donne che vivono al Centro o al Nord. Si stima che in Italia circa 1 milione e 400mila anziani (10,1%) viva con una forte riduzione dell’autonomia nelle attività essenziali della vita quotidiana, a fronte di una media UE22 pari all’8,5%.

È quindi importante sviluppare delle strategie sicure ed efficaci per combattere la fragilità ed i suoi rischi ed al contempo preservare la mobilità nelle persone anziane per non incorrere in un ulteriore declino delle capacità funzionali e per promuovere un invecchiamento di successo.

È in questo contesto che i ricercatori del Dipartimento di Scienze dell’ Invecchiamento, Neurologiche, Ortopediche e della Testa-Collo dell’Università Cattolica E e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS guidati dai professori Bernabei, Landi e Marzetti hanno progettato lo studio.

Nello studio SPRINTT i ricercatori hanno testato se un intervento che comprendeva uno specifico protocollo di attività fisica di facile esecuzione per la persona anziana con limitazioni funzionali e sarcopenia e coadiuvato da un supporto tecnologico e da una consulenza nutrizionale personalizzata fosse in grado di diminuire la fragilità degli arruolati preservando al contempo la capacità di muoversi in maniera indipendente. Gli elementi fondanti dell’intervento sono stati ispirati dalle più solide evidenze scientifiche così da produrre un “pacchetto terapeutico” credibile, rigoroso e sicuro.

I risultati dello studio SPRINTT sono stati ottenuti in 1.519 uomini e donne (età media 79 anni) con “fragilità fisica e sarcopenia” reclutati tra il 2016 e il 2019 in 16 centri clinici di 11 paesi europei.

La definizione di “fragilità fisica e sarcopenia” si basa sull’utilizzo di una batteria validata di test funzionali, la Short Physical Performance Battery (SPPB), che misura la performance funzionale della persona anziana attraverso test di equilibrio, deambulazione e forza muscolare in maniera standardizzata e ne qualifica l’espressione clinica. L’altra componente della condizione, la sarcopenia, viene misurata in maniera oggettiva attraverso la DEXA, un esame radiologico in tutto simile a quello effettuato per la diagnosi di osteoporosi.

In tutto, 760 partecipanti hanno effettuato l’intervento combinato di attività fisica con supporto tecnologico e nutrizione e 759 hanno partecipato a un percorso di seminari sull’invecchiamento in salute (controlli). Tutti i 1519 partecipanti sono stati monitorati fino a 36 mesi.

Il gruppo di intervento ha ricevuto 2 volte alla settimana sessioni di attività fisica di moderata intensità presso il centro di studio e fino a 4 volte alla settimana a casa. Le attività proposte comprendevano sessioni di camminata a passo sostenuto, esercizi di rinforzo muscolare prevalentemente degli arti inferiori, esercizi di equilibrio ed esercizi di flessibilità. Tutte le attività erano personalizzate in base alle capacità e alle limitazioni di ciascun partecipante ed erano eseguite senza il ricorso ad attrezzature specifiche. La quantità di attività fisica praticata è stata misurata periodicamente attraverso un actimetro posizionato sulla coscia per 7 giorni. Questa informazione è stata utilizzata dagli istruttori per monitorare i progressi di ciascuno e personalizzare la prescrizione del tipo e dell’intensità di attività fisica. Tutti i partecipanti hanno poi ricevuto consulenze nutrizionali personalizzate, corredate da piani dietetici individuali, per ottimizzare il consumo di calorie e proteine con la dieta.

I partecipanti del gruppo di controllo hanno ricevuto una volta al mese una formazione sull’invecchiamento sano e un breve programma di esercizi di stretching per la parte superiore del corpo o tecniche di rilassamento.

Tra i partecipanti che all’inizio dello studio presentavano una maggiore compromissione della funzione fisica (punteggio alla SPPB di 3-7), la disabilità motoria si è verificata nel 47% di quelli assegnati all’intervento attivo e nel 53% dei controlli.

La funzione fisica, valutata attraverso il cambiamento del punteggio della SPPB, è migliorata maggiormente nel gruppo di intervento che nei controlli sia a 24 mesi che a 36 mesi.

Le donne nel gruppo di intervento hanno perso meno forza muscolare e meno massa muscolare in braccia e gambe rispetto alle donne del gruppo di controllo, mentre nessuna differenza significativa tra intervento e controllo è stata osservata negli uomini.

In un’analisi separata condotta nei partecipanti con una migliore capacità motoria di base (punteggi SPPB di 8 o 9 all’inizio dello studio), l’intervento non ha modificato il rischio di sviluppare disabilità motoria e ha avuto effetti marginali sulle prestazioni fisiche.

I ricercatori dello studio SPRINTT concludono che l’intervento testato “può essere proposto come una strategia per preservare la mobilità nelle persone anziane a rischio di disabilità”.

Questa nuova evidenza conferma i benefici dell’attività fisica strutturata negli anziani che vivono in comunità, dice Thomas Gill, professore alla Yale School of Medicine nell’editoriale di presentazione dell’articolo pubblicato a sua volta sul British Medical Journal. Gill riconosce che può essere impegnativo tradurre nella pratica clinica i risultati degli studi anche quando progettati in maniera rigorosa, ma sostiene che le evidenze ottenuto da SPRINTT, insieme a quelli di un altro grande studio statunitense, il LIFE Study, “forniscono prove convincenti che la capacità di muoversi in maniera indipendente può essere preservata negli anziani fragili residenti in comunità attraverso l’attività fisica, con il camminare come modalità principale”. Curiosamente anche lo studio LIFE è stato coordinato da un ricercatore italiano, il professor Marco Pahor della Univeristy of Florida, a sottolineare l’eccellenza del nostro Paese nella ricerca per l’invecchiamento di successo.

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