Storie di bisturi: il Gemelli nelle sale operatorie del mondo
“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”, sosteneva Marcel Proust. Come dargli torto? Da lontano si vede meglio il proprio mondo. E si possono imparare nuove lezioni. Camice e casacca nella valigia, abbandonati i percorsi globalizzati, si parte per una boccata d’ossigeno dell’anima. Si procede anche per strade sterrate, cammini difficili, mezzi di fortuna per scoprire, conoscere, imparare, mettersi a disposizione degli altri. Una penna e un diario da tasca per fermare emozioni, fissare ricordi, articolare pensieri, abbozzare progetti. Un proverbio africano dice: “Ciò che non hai mai visto lo trovi dove non sei mai stato”.
Nei suoi romanzi di viaggio Bruce Chatwin portava con sè il Moleskine, taccuino rivestito in pelle passato alla storia. Diari simili accompagnavano anche altri celebri viaggiatori come Marco Polo, Cristoforo Colombo, Thomas Merton, ma anche Oscar Wilde, Vincent van Gogh, Henri Matisse, Pablo Picasso ed Ernest Hemingway. Alcuni medici (chirurghi, ginecologi, anestesisti…) e altri operatori sanitari della nostra struttura hanno fatto lo stesso: sono partiti e hanno raccolto appunti preziosi. Il “nostro” Moleskine ricco di “appunti di viaggio” è un’opportunità per “mettere gli occhi” nelle sale operatorie di tutto il mondo e per conoscere le esperienze di quanti vorranno condividerle. Si comincia con il racconto della forte esperienza di Federico Sicoli, specialista in chirurgia generale presso la Fondazione Policlinico Gemelli, che ha lavorato in un Paese del sud del mondo, un’isola con una doppia anima che guarda all’Africa e all’Oceano Indiano: il Madagascar.
(rubrica a cura di Luca Revelli)
Madagascar:
da lontano si “vede” meglio di Federico Sicoli Gli “Amici di Ampasilava” è l'organizzazione di volontariato fondata nel 2008 dal medico bolognese Sandro Pasotto e da sua moglie Rosy: gestisce l'Hopitaly Vezo di Andavadoaka nella regione sud-occidentale del Paese, sul canale del Mozambico, a nord di Tulear. Mi avevano preparato all'incontro ma, l'esperienza diretta, supera ogni attesa. Per un mese sono stato l'unico chirurgo in un’equipe con: un anestesista, un ginecologo un gastroenterologo, tre giovani neo-laureate e tre infermiere (straordinarie). Sessanta interventi di cui una trentina da primo (e - spesso - unico) operatore; in media 150 visite al giorno. 3 febbraio 2016, 02:57 - L’ultima cosa che mi sarei aspettato era quella di avere freddo. Problemi di lingua: i malgasci con cui lavoro capiscono il francese: io non lo parlo. Capisco l'inglese: ma loro non lo sanno parlare. Ce la caviamo a gesti. Cambio valuta: 600 euro (12 biglietti da 50). Ho ricevuto 2 milioni e 800 mila Ariary in banconote da 5 mila. Nelle tasche ho rotoli di banconote con gli elastici. Manca solo un volo interno, poi un infinito tragitto in jeep. 3 febbraio 2016, 06:54 - Solo ora sento di essere in Africa. E’ forse il caldo torrido o il fatto di non passare inosservato. La polizia ha i kalashnikov al collo. Non mi sento più a casa mia. 4 febbraio 2016, 17:57 - Il viaggio in jeep da Tulear è stupendo: il paesaggio si perde tra foreste di baobab e molto altro. Sembra di attraversare 10 continenti diversi. Percorso anche molto impegnativo: non credevo che un mezzo a 4 ruote riuscisse a percorrere questo genere di piste. Credo di avere gli organi sottosopra. L'ospedale ha qualcosa di impressionante; il concetto di ospedale occidentale è qualcosa di molto diverso. Ma abbiamo a disposizione una quantità di strumenti e apparecchiature insospettate. La “Corte dei Gechi”, dove sono gli alloggi, è un piccolo gioiello: mangiamo, ridiamo, lavoriamo, dormiamo come in una “casa vacanze” al mare. E proprio mentre "mi trovavo in vacanza" sono tornato, bruscamente alla realtà: annegamento, edema polmonare, desaturazione, irrequietezza, vomito, due ore di ventilazione a mano. Alla fine guarigione: o - come si dice qui - VAGIANGA! 12 febbraio 2016, 08:48 - Negli ultimi 6 giorni è successo un po' di tutto: soprattutto “alcune prime volte”. La prima volta che succede qualcosa nella tua vita è sempre un vortice di emozioni, Quando le “prime volte” sono due, insieme, diametralmente opposte, il turbinio diventa tempesta. Un uragano scoppiato il 10 febbraio: "il mio primo taglio cesareo". Dalla bufera sono uscite, nell'ordine: la mia prima nascita, o meglio, le mie prime 2 nascite (due bellissimi - ed inaspettati gemelli), e la mia prima morte al tavolo operatorio. La mamma purtroppo non ce l'ha fatta. Troppo sangue perso per la placenta previa. Potevo fare qualcosa di più se fossi stato più esperto? Potevo fare qualcosa di diverso? Non lo so. E non lo saprò mai. Chi di queste cose se ne intende mi ha tranquillizzato dicendo che ho fatto in modo che i morti non fossero tre. 18 febbraio 2016, 12:38 - Operare da aiuto dà grande sicurezza: non hai la responsabilità di prendere le decisioni. Oggi ho provato quel peso. Prima splenectomia operata con successo. Per premiarmi: una corsa nelle valli di Andavadoaka. Avevo bisogno di spazio: stavo esplodendo. E’ la sensazione che si prova quando ridisegni il tuo orizzonte e lo sposti un po' più in là. 25 febbraio 2016, 23:33 - Il momento del ritorno. Si dice che: “Il viaggio perfetto è circolare. La gioia della partenza, la gioia del ritorno”. Ma mi dispiace andar via. Qui ho scoperto cose da riempire un paio di anni di vita ordinaria. Ho scoperto che si vive (e anche bene) senza la maggior parte delle nostre cose “necessarie”. I comportamenti della gente sono gli stessi, a tutte le latitudini: sono le sovrastrutture che cambiano. Ho scoperto anche che il contatto con la natura fa stare meglio lo spirito e soprattutto ho aumentato la consapevolezza di quanto riesco a fare. Per questi risultati – a volte – bisogna allontanarsi un po’ da noi stessi. Per vedere bene ci dobbiamo allontanare: più o meno 12 mila chilometri.