Il ruolo della farmacogenetica: un’opportunità sia per i pazienti sia per i prescrittori
La farmacogenetica può essere definita una nuova frontiera della medicina, che sta determinando un radicale cambiamento dell’approccio terapeutico. Di fronte al fatto che lo stesso farmaco dà luogo a risposte diverse da individuo a individuo, le evidenze scientifiche, in tempi recenti e seppure con dati contrastanti, hanno messo in luce la forte correlazione esistente fra alcune varianti genetiche di enzimi deputati al metabolismo dei farmaci e la capacità di metabolizzare gli stessi. Il percorso non è privo di difficoltà: spesso si ritiene che la nostra sensibilità verso talune classi di farmaci sia influenzata soprattutto dai meccanismi non genetici, detti epigenetici. Ciononostante oggi per diversi principi attivi, nel foglio illustrativo del farmaco, viene riportata l’indicazione ad eseguire specifici test, propriamente detti farmacogenetici, che possono predire il livello di risposta del paziente o gli effetti avversi cui il paziente potrebbe essere esposto. La diffidenza della medicina più tradizionale verso un approccio di tipo personalizzato, nell’ottica di una medicina di precisione, trova origine in molteplici motivazioni.
Manca adeguata informazione dei medici prescrittori, sia di base che specialistici, circa l’utilità dei test farmacogenetici. La letteratura espone dati controversi, spesso non evidenziati adeguatamente dalle stesse aziende produttrici. C’è limitata disponibilità di laboratori capaci di eseguire i test in tempi compatibili con il tempo di inizio della terapia, coprendo il maggior numero di tipologie di test farmacogenetici utili per le i diversi farmaci in commercio. Il Sistema sanitario nazionale o regionale non garantisce la copertura economica, scaricando a volte sul paziente l’onere di effettuare il test prima di iniziare la terapia.
Tali problematiche sono state discusse e valutate in modo analitico in una serie di incontri di formazione organizzati dal Public Health Genomics Group (PHGG), di cui sono responsabili i docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, prof. Gualtiero Ricciardi, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica, e la prof. Ssa Stefania Boccia, che insegna Igiene e Medicina Preventiva. Nell’ambito delle giornate formative sulla “Genomica in sanità pubblica” sono stati trattati numerosi argomenti riguardanti i test genomici. Sono state evidenziate le criticità che impediscono ancora in Italia l’introduzione di modelli in cui l’appropriatezza prescrittiva non solo può essere forte della reale robustezza dei dati di letteratura che ne supportino in casi specifici la prescrizione, ma anche della necessità di trattare nel modo più efficace i pazienti. Il tutto, va a inserirsi nell’ottica più ampia di ridurre la quota di risorse sprecate per la somministrazione di farmaci che risultino inefficaci in alcune categorie di pazienti. Il problema è di entità rilevante: la quota di pazienti non-responders o con effetti collaterali gravi può raggiungere anche più del 50% dei pazienti trattati, in funzione del principio attivo somministrato. Per tale motivo, il PHGG ha organizzato incontri nelle sedi dell’ordine dei Medici di Roma e modelli di formazione a distanza. In questi, la farmacogenetica è stata al centro di uno spazio specifico (come si spiega nel box a destra), con l’obiettivo di arrivare a diffondere la cultura dell’evidenza e della best practice nell’individuazione delle molecole e dei principi attivi per i quali l’agenzia europea ed italiana del farmaco, la Food and Drug Administration Americana (FDA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco abbiano rilasciato indicazioni di alti livelli di evidenza all’uso dei test farmacogenetici.
Corsi interattivi spiegano ai medici l’ importanza dei test
I corsi promossi dal PHGG si svolgono in modo interattivo, mettendo a confronto un medico di base e/o specialista (nel caso, la dott. ssa L. Maioli) con un interlocutore esperto del settore (in questo caso il prof. Ettore Capoluongo, responsabile dell’UOS di Diagnostica Molecolare Clinica e Personalizzata del Gemelli,
dove si esegue la maggior parte dei test farmacogenetici per i quali vi èevidenza di appropriatezza prescrittiva). Vengono presi in esame sia gli aspetti pratici dell’introduzione all’uso di un test farmacogenetico, sia gli aspetti interpretativi. Particolare attenzione viene prestata alla richiesta di informazioni sul livello di affidabilità rispetto all’obiettivo finale, quello di curare il paziente nel modo più appropriato. Senza tralasciare gli aspetti legati ai costi derivanti dall’eventuale uso improprio di tali test.
Il modello si presenta vincente non solo per la farmacogenetica, ma anche per tutti i test genomici di cui i corsi del PHG Group hanno trattato, perché rafforza la fiducia e la confidenza del medico prescrittore nella necessità di richiedere alcune tipologie di test, soprattutto in pazienti che manifestino precocemente alcuni degli effetti “avversi” o collaterali in associazione ad una certa terapia.
Valga l’esempio di alcuni farmaci antiretrovirali, per i quali una certa tipologia di test è considerata indispensabile: ad esempio, in presenza nel paziente di alcuni alleli del sistema maggiore di istocompatibilità (HLA-B), quel tale farmaco non va adoperato per non dar luogo a serie conseguenze cliniche negative.
L’ uso appropriato dei test aiuta a costruire il percorso paziente-centrico anche per alcune classi di farmaci di uso comune, permettendo di individualizzare i percorsi clinico-terapeutici in linea con le evidenze di letteratura.Il progetto supportato dall’Istituto di Igiene e dal PHG Group punta a raggiungere il maggior numero di medici di base e specialisti in modo diffondere tali evidenze ed armonizzare le procedure di accesso a tali tipologie di test.