Hand and wrist arthroplasties: la chirurgia protesica della mano del terzo millennio

Tutto dedicato alla chirurgia protesica della mano il convegno internazionale Hand and wrist arthroplasties organizzato di recente al Gemelli il 13 e 14 maggio scorso, dal dottor Vincent Mazzone, Direttore della UOC di Ortopedia e Chirurgia della Mano della Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS e docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore uno dei maggior esperti italiani sull’argomento. Non solo una vetrina delle ultime proposte in questo campo, che ormai attinge a materiali quali il pirocarbonio (materiale sperimentato dalla Nasa sulle sue missioni Shuttle), ma è stata anche l’occasione per discutere di indicazioni e della tempistica migliore per questi impianti. Si tratta di una chirurgia che oltre a ‘restaurare’ e ricostruire un distretto colpito da un grave trauma o dall’artrosi, restituisce una funzione importantissima: il movimento della mano. Con ricadute evidenti sul piano socio-lavorativo e sulla qualità di vita. Due le tipologie principali di pazienti che maggiormente possono beneficiare della chirurgia protesica delle mani: quelli con artrosi e quelli che dopo un trauma (tipici quello da sega circolare e da apparecchi per la molatura) o un’infezione, riportino un grave danno articolare, una deformità e in seguito un’artrosi secondaria.
“La maggior parte delle indicazioni della chirurgia protesica – ricorda il dottor Vincent Mazzone- sono riservate alle articolazioni alla base del pollice, a quelle interfalangee (cioè a quelle della parte centrale delle dita) e del polso (cioè le articolazioni tra radio e ulna da un lato e alcune delle piccole ossa della base della mano, quali semilunare, scafoide e piramidale)”.
L’artrosi è l’espressione in eccesso del normale processo di invecchiamento di un’articolazione, che invecchia come il suo ‘proprietario’. Inizia con una fastidiosa dolenzia che nel tempo può diventare dolore importante; questo si accompagna inizialmente ad una limitazione del movimento, fino ad arrivare all’anchilosi, cioè alla rigidità completa dell’articolazione.
“La chirurgia – spiega il dottor Mazzone - diventa utile quando la terapia medica (anti-infiammatori e anti-dolorifici in particolare, mentre gli integratori a base di galattosamina e condroitina hanno un effetto molto limitato) e quella fisica riabilitativa non siano più in grado di controllare il dolore, rendendolo occasionale, anziché costante. Il chirurgo arriva insomma quando i farmaci e la fisioterapia non funzionano più”.
Ma a quale età vanno fatti questi interventi in elezione? “Cerchiamo sempre di evitare di protesizzare i giovani, ma ci sono delle eccezioni. Nei casi di artrosi secondaria o di distruzione massiva dell’articolazione per un trauma (come gli incidenti sul lavoro), l’unico modo per recuperare rapidamente quell’articolazione è impiantare la protesi, a volte già durante l’intervento d’urgenza, o a distanza di qualche settimana-mese. Il caso tipico è quello dei traumi delle dita da sega circolare o da apparecchi per la molatura. L’impiego di queste protesi in traumatologia consente un recupero funzionale, ma soprattutto socio-lavorativo molto rapido, spesso senza deformità o invalidità residue. Il costo sociale si abbatte dunque in maniera enorme con questa tipologia di interventi. Per quanto riguarda gli interventi per artrosi primitiva, la chirurgia protesica della mano viene effettuata soprattutto nei 60enni”.
Il recupero da un intervento in elezione è molto rapido. Per la maggior parte delle procedure la mobilizzazione immediata viene concessa subito seppur protetta e il ritorno alla normalità può avvenire nell’arco di 1- 2 mesi
I centri che si occupano di chirurgia protesica della mano in Italia non sono molti; i centri di riferimento con una buona tradizione sono meno di una decina, tra cui Firenze, Modena, Savona, Messina, Verona oltre al Gemelli di Roma.
Ma come districarsi tra un’offerta sempre più ampia di protesi? “Disegni e materiali – spiega Mazzone - sono molto diversi a seconda dell’articolazione che si vuole protesizzare perché ogni articolazione della mano ha un suo proprio ‘disegno’ e un diverso arco di movimento (‘cinematica’). Per replicare il movimento dell’articolare nel modo più fedele possibile al naturale (ed è questa la vera sfida del futuro) si possono usare disegni e materiali completamente diversi (dal titanio al silicone, dall’acciaio alla ceramica). Ma quello che fa realmente la differenza è la precisione di impianto; questa si ottiene grazie ad un accurato studio pre-operatorio del caso, all’indispensabile competenza specifica o da ultimo all’aiuto strumentale della diagnostica per immagini; il chirurgo deve essere insomma in grado di superare le limitazioni imposte da un’anatomia distrutta”.
Un freno alla diffusione della chirurgia protesica della mano è rappresentato dalla carenza di specialisti esperti in questi interventi e in alcuni casi dal costo delle protesi, che faticano a rientrano negli angusti rimborsi previsti dai DRG. “Le ultime novità – rivela il dottor Mazzone - sono rivolte a quei segmenti in cui la perfezione dell’impianto e del suo replicare o sostituirsi alla cinematica originale sono lontane da venire. Questo riguarda in particolare le articolazioni alla base del pollice e le articolazioni del polso. Per la base del pollice stiamo valutando una nuova generazione di impianti in titanio e ceramica, che dovrebbero garantire un recupero molto veloce e una performance di gran lunga superiore a tutte le soluzioni analoghe precedenti.
I costi variano a seconda della tipologia di protesi (più alti nel caso di quelle ‘su misura’, più contenuti per quelle standard) e dei materiali utilizzati. Una protesi a bastoncino di silicone costa 400-800 euro; una protesi totale di polso costa 2.000 euro, come una protesi d’anca. La grande incognita comune a tutte le protesi per la mano è inoltre la loro durata nel tempo”. Per alcune protesi abbiamo sopravvivenze lunghissime decine di anni , praticamente a vita, come e più di una moderna protesi d’ anca o di ginocchio. I nostri studi sono ora concentrati su quelle protesi che hanno dimostrato sopravvivenze meno brillanti.
Maria Rita Montebelli