Essere genitori e operatori ai tempi del Covid -19: “tra gioco e realtà”
Uno studio sulle famiglie ai tempi dell'emergenza sanitaria da Covid - 19 e un kit di giochi per ristabilire il contatto emozionale e facilitare le relazioni fra le diversi componenti familiari a cura del Servizio di Psicologia, Area Materno-Infantile, in accordo con il Dipartimento di Scienze della Salute della Donna e del Bambino e della Sanità Pubblica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
Il Servizio di Psicologia, area Materno-Infantile, in accordo con il Dipartimento di Scienze della Salute della Donna e del Bambino e della Sanità Pubblica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, diretto da Eugenio Mercuri, ha condotto un’indagine, coordinata da Daniela Chieffo, Dirigente Sanitario Neuropsicologa e Psicoterapeuta del Policlinico Gemelli, docente di Psicologia generale all'Università Cattolica, Campus di Roma, che ha coinvolto 220 famiglie romane con figli dai 18 mesi ai 18 anni di età. 100 di queste famiglie hanno tra i genitori operatori sanitari del Gemelli impegnati in prima linea nei reparti Covid - 19 e che hanno scelto spesso l'autoisolamento per proteggere da eventuali contagi il proprio nucleo familiare.
Sono state analizzate le difficoltà educative e psicologiche, gli stati emotivi provati dai diversi componenti del nucleo famigliare durante la pandemia, nonché i comportamenti in particolare dei minori.
Dallo studio è emerso che i figli adolescenti sono quelli che hanno manifestato maggiore disagio, laddove le figure genitoriali non sono più sufficienti da sole a rassicurare e tonificare l’animo dei giovani, desiderosi di autonomia e libertà.
Il Servizio di Psicologia del Gemelli, oltre alla somministrazione di un questionario analitico alle famiglie, ha ideato e realizzato un “Kit di giochi” che possono essere utilizzati da figli e genitori per ristabilire e consolidare il contatto emozionale e facilitare le relazioni fra i diversi componenti della famiglia stessa.
Di seguito il contributo del gruppo di lavoro che ha condotto lo studio (Daniela Chieffo, Valentina Arcangeli, Federica Moriconi, Elisa Marconi, Laura Peruzzi, Antonella Guido).
Emozioni e comportamento in età pediatrica e in adolescenza Sars-Covid correlato: rischi e opportunità
"Esposti al contagio e preoccupati per i propri familiari: la pandemia di coronavirus ha provocato un impatto significativo sulla vita sociale e familiare dei nostri operatori impegnati in prima linea per contrastare la diffusione del virus. Molti di loro hanno scelto di auto-distanziarsi per mettere in sicurezza i propri affetti ed evitare che potessero essere a loro volta soggetti all'infezione. La condizione di auto isolamento e’ stata l’unica forma di tutela delle proprie famiglie dal contagio fisico e psichico.
La condizione di emergenza globale da Covid-19 ed il Lockdown che ne è derivato ha influito sulle abitudini di ciascuno, generando una condizione di disagio intenso e protratto.
Il Lockdown ha richiesto una nuova organizzazione familiare ed, in molti casi, questo ha permesso ai genitori di trascorrere più tempo con i loro figli. Al contrario, nelle famiglie i cui membri svolgono la professione di operatori sanitari, spesso non è stato possibile raggiungere tale condizione, subendo, in alcuni casi un distanziamento.
Tuttavia, queste ultime hanno evidenziato capacità di adattamento, attingendo da risorse presiedute dalla flessibilità. Con creatività hanno potuto elaborare nuovi strumenti e modalità per trascorrere il tempo insieme.
Occorre effettuare una distinzione delle famiglie in base alla fase del ciclo vitale e dunque dell’età, ovvero quelle con bambini in età strettamente pediatrica e quelle con figli adolescenti.
Se nelle prime si riscopre il piacere di stare insieme, considerando la condivisione una risorsa, nelle seconde ci si imbatte con il limite dettato dal confine che la relazione con l’adolescente impone. Gli adolescenti richiedono una maggiore autonomia, trovando spesso rifugio nei social ed in un mondo virtuale con cui hanno già costruito un’elevata familiarità, da cui, tuttavia, si potrebbe generare una condizione di alienazione con ripercussioni sulle relazioni intra-familiari.
Nell’ottica dell’individuazione di possibili indicatori di rischio e di fattori di protezione e prevenzione del benessere di individui in età pediatrica e di adolescenti (dai 18 mesi ai 18 anni), il Servizio di Psicologia (Dr.ssa Simonetta Ferretti), area Materno-Infantile (Dr.ssa Daniela Chieffo) in accordo con il Dipartimento di Scienze della salute della donna, del bambino e della sanità pubblica (Dir, Prof Eugenio Maria Mercuri), ha condotto un’indagine finalizzata alla rilevazione dello stato emotivo, relazionale e comportamentale, durante la condizione di isolamento e di restrizione per Covid-19. Il nostro intento è di fornire alle famiglie dei suggerimenti per affrontare la fase 2 e di donare alla comunità sanitaria del nostro Policlinico, un Kit di giochi da fare in famiglia.
Il nostro obiettivo era rilevare le emozioni del bambino e dall’adolescente; come le risorse e i meccanismi riparatori intra-familiari potessero fronteggiare i vissuti connessi alla condizione di restrizione e di isolamento; in quale misura l’interruzione delle proprie abitudini si ripercuotesse sullo sviluppo e sul benessere percepito; nonché indagare i bisogni esperiti dalle famiglie in un’ottica di prevenzione e di ricerca.
I figli degli operatori sanitari o di chi è stato colpito direttamente dal virus, sono coloro che più risentono delle condizioni restrittive.
È la prima volta che l’operatore ha vissuto l’esperienza di non poter tutelare le propria famiglia dal contagio fisico e psichico. Solitamente pronti a difendere i propri figli e il proprio compagno dalla sofferenza assorbita durante l’attività assistenziale, l’unica forma di difesa e di tutela nei confronti della loro famiglia in questo periodo è stato il distanziamento e l’isolamento.
E’ stato necessario per noi esplorare le emozioni (noia, rabbia, tristezza, ansia, gioia e paura), in un’ottica ontogenetica, quelle che rispondono ad un circuito di ricordi strettamente connessi allo stile di attaccamento esperito nelle prime fasi dello sviluppo (Cervello Limbico), dunque quelle che attivano nel bambino e nell’adolescente la possibilità di chiedere aiuto e di accedere alla dimensione della vicinanza al caregiver. I vissuti negativi ad esse connessi, se condivisi con l’adulto significativo, possono essere riconosciuti, affrontati e superati in modo più efficace.
I figli degli operatori sanitari possono vivere in modo amplificato queste stesse emozioni, sperimentando, in particolare, sentimenti di nostalgia e di paura per la separazione dagli adulti di riferimento, nonché una condizione di ansia per il pericolo a cui sono esposti i genitori che lavorano in tali settori e che dunque rischiano il contagio. Altresì, possono esperire ed esprimere gioia in condizioni di vicinanza ai genitori, senza provare l’angoscia della perdita, con conseguente senso di responsabilità condivisa.
Le emozioni negative sono una risposta fisiologica alla condizione di stress vissuto, occorre, tuttavia, che esse siano monitorate e controllate perché correlate allo stile e alla qualità della vita.
Dall’indagine condotta si evince che i piccoli dai 18 mesi ai 5 anni richiedano una vicinanza fisica ed emotiva al caregiver, senza differenze tra le figure genitoriali. Questo dato ci suggerisce come la figura paterna abbia assunto un ruolo sempre più attivo nel prendersi cura del bambino, assumendo una funzione equiparabile a quella materna. I dati suggeriscono che bambini di questa fascia di età abbiano sperimentato come emozione prevalente la gioia, in misura ridotta la noia e la rabbia, poco o per nulla la paura, l’ansia e la tristezza. Questo è sicuramente un dato incoraggiante, con cui possiamo avanzare l’ipotesi che le famiglie abbiano manifestato capacità di adattamento flessibili e funzionali, e che l’azione contenitiva dei genitori sia stata efficace durante la fase 1.
La letteratura suggerisce che i bambini, in condizioni di maggiore stress, tendano ad agire condotte aggressive e regressive, sentirsi più agitati e nervosi. Suggeriamo, pertanto, ai genitori di bambini che presentano tali comportamenti, di monitorarli, di offrire loro sostegno e contenimento, prediligendo attività condivise e piacevoli. Se tali alterazioni del comportamento persistessero anche durante la fase 2 invitiamo i genitori a rivolgersi al pediatra.
Dai risultati emerge, come il possibile indicatore di rischio di questa fascia di età sia espresso dalle lamentele somatiche. I dati indicano come questi bambini possano presentare manifestazioni somatiche in risposta allo stress percepito, presentando dolori senza apparente causa medica, stipsi o diarrea, riduzione dell’appetito, nausea o vomito, preoccupazioni per ordine e pulizia, connesse queste ultime ad un accentuato desiderio di controllo. L’analisi effettuata suggerisce che coloro che percepiscono un peggioramento nelle dinamiche intra-familiari presentino una compromissione maggiore nella componente Internalizzante, ovvero più alti livelli manifestati di Reattività Emotiva, Ansia/Depressione, Lamentele Somatiche e Ritiro; e nella componente Esternalizzante, ovvero più alti livelli manifestati di Problemi di Attenzione e Comportamento Aggressivo.
Dai nostri risultati si evince che anche i bambini dai 6 agli 11 anni richiedano una vicinanza fisica ed emotiva ai caregiver senza alcuna distinzione tra le figure parentali. Madre e padre assolvono ruoli e funzioni diverse ma complementari, necessari anche per il processo d’identificazione. Tra le emozioni esperite con maggiore intensità in questo campione spicca la noia, a discapito della gioia. Questo dato fa riflettere come i bambini di questa età abbiano bisogno di attività strutturate. Occorre, tuttavia, mettere in evidenza che la noia sia funzionale nello stimolare la creatività, l’immaginazione e la fantasia. I dati ci indicano come i bambini dai 6 agli 11 anni presentino più alti livelli di Ritiro/Depressione, con una tendenza a preferire la solitudine alla compagnia, rifiutando a volte di parlare, apparendo riservati, meno attivi, lenti, poco energici, scontenti, tristi, chiusi in se stessi e con una riduzione significativa delle attività che li divertono. Occorre rispettare il bambino che manifesta tali condotte, che potrebbero rispondere ad esigenze differenti che il piccolo non si sente ancora pronto a condividere. È importante che il genitore accolga questo bisogno, mostrandosi empatico e disponibile.
La percezione di un peggioramento all’interno delle relazioni sociali nei nostri dati correla con una maggiore tendenza al ritiro. Coloro che esperiscono più alti livelli di paura, ansia e tristezza sono anche coloro che presentano una maggiore compromissione generale del comportamento. È importante fornire a questi bambini protezione, sostegno, attenzioni e amore, come contenimento efficace; al contempo occorre non sottovalutare questi segnali, che potrebbero, costituire una porta di ingresso privilegiata per comprendere meglio i bisogni manifestati dal bambino e che potrebbero essere la sintesi di quelli dell’intero sistema familiare.
Nella fascia d’età dei ragazzi dai 12 ai 18 anni si evince una richiesta inferiore della vicinanza fisica ed emotiva dei genitori. Occorre considerare, tuttavia, che l’adolescenza, come fase del ciclo vitale di un individuo, è caratterizzata da una condizione di profonda ambivalenza tra due polarità distinte, il bisogno di appartenenza da un lato ed il bisogno di separazione e di individuazione dall’altro. La noia sembra essere per gli adolescenti l’emozione più esperita in questo momento, a discapito di tutte le altre emozioni indagate (paura, ansia, tristezza, gioia e rabbia), con più alti livelli esibiti di Ritiro/Depressione. Dunque anche questa fascia di età sembra manifestare una tendenza a preferire la solitudine alla compagnia, rifiutando a volte di parlare, riservatezza, poca energia, tristezza, chiusura in sé e riduzione significativa delle attività che generano divertimento. Interessante è la correlazione che emerge tra la richiesta minore di vicinanza fisica ed emotiva con il padre e più alti livelli di ansia, depressione, problemi sociali e del pensiero. Figure paterne percepite di difficile accesso, con conseguente difficoltà di sintonizzazione emotiva con il figlio adolescente possono contribuire ad implementare paure, preoccupazioni, la sensazione di dover essere perfetti, nervosismo, imbarazzo, sensi di colpa, isolamento sociale, problemi del sonno e del comportamento, nonché possono influire negativamente sulla percezione della stima di sé. La percezione di una minore coesione all’interno della coppia genitoriale correla con problemi di ritiro. Più alti livelli di distress (stress negativo) associati all’interruzione dell’attività sportiva e all’aria aperta correlano con disturbi di tipo Esternalizzante, con la possibilità dunque di agiti aggressivi e difficoltà nell’accettazione e nella gestione delle regole.
Secondo i nostri risultati, questa fascia d’età ha risentito maggiormente delle limitazioni del lockdown, in quanto le misure restrittive rappresentano un ostacolo al loro, fisiologico, bisogno di indipendenza e di contatto con i pari. Possono apparire apatici, perché il loro sistema esplorativo è inibito, e dunque alternare momenti di noia ad altri di tensione e rabbia. Qualora tali condizioni persistessero anche nella fase 2, il nostro suggerimento è quello di rivolgersi ad uno specialista.
Un fattore protettivo è senza dubbio il garantire una continuità ed il ripristino delle relazioni con i gruppo dei pari, privilegiando la modalità della videochiamata, e nei casi in cui viene salvaguardata la sicurezza di ognuno, anche la modalità vis a vis, in modo tale che esperiscano anche un contatto visivo durante la condivisione con l’altro. Percepire i pari come soggetti alle stesse norme restrittive e alle stesse limitazioni, può aiutare l’adolescente a sentirsi meno solo, ad accettare le regole e a gestirle in modo più funzionale. Suggeriamo ai genitori di ragazzi adolescenti di non preoccuparsi e di non sentirsi esclusi dalle “porte chiuse”, poiché queste sono fondamentali per delineare e costruire l’identità del figlio, procedendo nella direzione dell’autonomia e dello svincolo; di offrire ai ragazzi l’opportunità di contatto e di negoziazione della vicinanza/distanza, garantendo la presenza al momento del bisogno, ma al contempo di rispettare la necessità di avere spazi individuali.
In sintesi, l’espressione di comportamenti di richiesta di vicinanza sembra diminuire con l’età. Questo, tuttavia, non si traduce nel considerare che i bambini e i ragazzi più grandi non abbiano bisogno del supporto da parte dell’adulto significativo.
Programmare attività condivise e ludiche tutti insieme è senz’altro utile per rafforzare la coesione familiare e favorire la condivisione di emozioni e bisogni; come è utile permettere loro anche di isolarsi e dedicarsi a sé in autonomia. Bambini e ragazzi dai 6 ai 18 anni sembrano reagire allo stress intenso e prolungato di questo periodo di restrizioni, con manifestazioni aggressive e difficoltà di autoregolazione e gestione del Sé; mentre i bambini dai 18 mesi ai 5 anni manifestando una tendenza alla somatizzazione.
Conoscere le emozioni nel bambino e nell’adolescente è utile anche per riconoscerle, parlarne e condividerle è sicuramente una strategia utile per elaborarle e per gestirle, non sottovalutando gli indicatori di rischio manifestati che potrebbero essere espressione di bisogni dell’intero nucleo familiare.
La famiglia diventa proprio il luogo di tutela dei vari componenti, lo spazio nel quale si può recuperare il senso di sicurezza e di appartenenza smarrito a causa della pandemia. Anche se il genitore è distante, come nel caso degli operatori sanitari, il senso di appartenenza al gruppo permette e garantisce il funzionamento della famiglia i come una squadra in grado di affrontare le sfide proposte dal Covid-19 attingendo dalle risorse naturali preesistenti, nonché sviluppandone altre funzionali al momento e al contesto.
La condivisione delle emozioni in famiglia, in questa fase, è un importante fattore protettivo.
Per gli operatori sanitari costretti al distanziamento dal proprio figlio suggeriamo di garantire la continuità del rapporto e di salvaguardare la connessione emotiva con lo stesso, prediligendo l’utilizzo della videochiamata, avvalendosi del gioco, anche a distanza. La connessione virtuale consente la continuità e/o il ripristino del rapporto e della comunicazione, di ridurre le distanze fisiche ed emotive, e dunque di creare/ricreare uno spazio di condivisione affettiva importante. In ogni caso, il genitore deve poter promuovere il senso di affiliazione e di appartenenza alla famiglia, che deve diventare, in questa fase di emergenza, il “gruppo sostitutivo” con cui condividere obiettivi e interessi come con il gruppo dei pari.
Dallo studio, si è evidenziata l’importanza della condivisione del tempo, e come essa rappresenti, soprattutto per i ragazzi più grandi, un fattore protettivo, che ne permette un miglioramento anche nel comportamento.
Inoltre, si rileva come possibile indicatore di rischio, una comunicazione implicita di richiesta di aiuto. Da qui nasce una necessaria rinegoziazione dei legami intra-familiari, i quali richiedono maggiore creatività e flessibilità anche rispetto ai diversi figli e alle loro caratteristiche. Ricordiamo che in una famiglia, ogni identità contiene una valigia di ricordi, un album di fotografie, un arcobaleno di emozioni, un treno ricco di progetti, il bisogno di esserci e di allontanarsi.
Ed è proprio da questo assunto e da quanto detto fino ad ora che abbiamo cercato di capire quale fosse il miglior modo per aiutare tutte le famiglie coinvolte in questa emergenza, in particolare le famiglie degli operatori sanitari, per affrontare la fase 2 e la lenta ripartenza.
Crediamo molto nelle loro risorse, abbiamo conosciuto in questi anni figli di operatori sanitari e sappiamo molto bene quanto siano stati sempre in grado di fronteggiare i momenti di fragilità, di frattura, di allerta e di stanchezza.
Questo momento è stato singolare, ma crediamo che le famiglie avranno avuto modo di riconoscere le proprie risorse e di svilupparne altre, idonee al contesto vissuto. Pensiamo che ognuno porterà un insieme di ricordi e di emozioni che suggeriamo di condividere, per dimostrare che uno stesso momento possa aver generato vissuti diversi in ciascuno, affinché i figli possano osservare anche le debolezze dei loro genitori, elicitando così l’espressione delle loro emozioni interne, talvolta riposte in un “cassetto”. Interrompere le attività familiari e di ciascuno è stato un compito gravoso. Per ripartire abbiamo pensato ad un dono per tutta la comunità sanitaria del nostro Policlinico, un Kit di Giochi da fare in famiglia, rispetto alle età dei figli. Ogni gioco dovrà essere fatto tutti insieme per favorire la condivisione e la complicità. Vorremmo il sorriso dell’intera famiglia".
Daniela Chieffo, Valentina Arcangeli, Federica Moriconi, Elisa Marconi, Laura Peruzzi, Antonella Guido