COVID-19: gli esperti del CTS e del Gemelli chiedono al Governo misure più drastiche
Un vero e proprio incontro al vertice tra i principali esperti italiani della pandemia di COVID-19 quello che si è tenuto oggi in occasione del webinar ‘Pandemia di Covid-19 in Italia: riflessione sugli aspetti epidemiologici, clinici e di Sanità pubblica’ organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma. Ci si prepara alla seconda ondata, che potrebbe avere un impatto disastroso perché coinciderà con una seconda epidemia, quella influenzale, e perché l’epidemia da quest’autunno sembra interessare in uguale misura tutta la penisola. Gli esperti invitano il Governo a misure più rigorose e tempestive. E avvertono che il tempo utile per poter arginare quella che sembra un’ondata incontenibile di contagi sta per scadere.
“E’ la più grande emergenza vissuta in epoca moderna e ai tempi dei social media”. Con queste parole Agostino Miozzo, presidente del Comitato Tecnico Scientifico COVID-19 del Ministero della Salute, ha introdotto i lavori del webinar ‘Pandemia di Covid-19 in Italia’, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore campus di Roma. “Stiamo entrando in una fase davvero critica – prosegue l’esperto - e dobbiamo imparare a comunicarla soprattutto ai giovani, che non guardano i talk show serali, né leggono i comunicati stampa del Ministero o i giornali. E’ fondamentale coinvolgere loro e il mondo della scuola perché in questa seconda fase il contagio in ambito domestico è il più importante. In Italia siamo stati bravi ad affrontare la prima ondata, imponendo rapidamente un lockdown a tutto il Paese, anche se le ricadute sull’economia, sulla socialità e sulla salute mentale saranno gravi e durature. Poi quest’estate, l’ansia di tornare alla normalità, è stata gestita con superficialità e adesso ne vediamo i risultati. Stiamo entrando nella seconda fase e abbiamo avuto tanti mesi per prepararci. Ma le file di 8-9 ore ai drive in dimostrano che non abbiamo utilizzato adeguatamente questo tempo”.
“Il nostro – ricorda il professor Walter Ricciardi, Ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica e consigliere del Ministro della Salute Roberto Speranza per il coordinamento con le Istituzioni sanitarie internazionali - è stato il primo Paese colpito dal COVID al di fuori dalla Cina e abbiamo reagito prontamente. Quando parlavamo di lockdown a Bruxelles ci guardavano quasi con commiserazione. Ma i fatti ci hanno dato ragione. Adesso però, alla vigilia della seconda ondata, anche noi cominciamo a essere in balia dell’indecisione. Ma le aree metropolitane sono già fuori controllo e l’epidemia non può più essere contenuta con il contact tracing; almeno in alcune aree siamo già arrivati al punto da dover passare a misure di mitigazione, cioè di chiusura che, per quanto terribili, sono ancora il male minore. Non possiamo sottrarci in questo momento dal prendere le decisioni giuste, al momento giusto. L’invito alla classe politica è dunque a essere coraggiosa. Se non si mette in sicurezza la salute dei cittadini, non sarà poi possibile ricostruire l’economia. Siamo alla vigilia di momenti importanti e drammatici; dobbiamo lavorare tutti insieme per fronteggiarli al meglio”.
“Ci troviamo in una fase di ricircolaizone del virus – commenta il professor Luca Richeldi, Ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio all’Università Cattolica e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pneumologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – che, a differenza della prima ondata però, non riguarda solo le Regioni del nord, ma tutta l’Italia. Quello al quale abbiamo assistito ‘in piccolo’ la scorsa primavera in altre parole, potrebbe riproporsi con la stessa intensità su scala nazionale. Oggi siamo in grado di fare diagnosi più tempestive e di utilizzare in maniera più appropriata le terapie, ma il problema che ci troviamo davanti stavolta riguarderà tutto il Paese. Come gestire dunque la pressione sui nostri ospedali e sui nostri pronto soccorso? Dobbiamo alleggerire questo carico, evitando che i pazienti con le forme lievi di COVID vadano a saturare i posti letto in ospedale. Bisogna gestirli a casa, con l’aiuto del territorio e della medicina di famiglia, acquistando in tempo utile saturimetri e bombole di ossigeno, per non trovarci impreparati. Più in là poi dovremmo occuparci dei pazienti con ‘long COVID’ e degli esiti a distanza di questa patologia, anche sui polmoni, attraverso una programmazione dedicata e la creazione di strutture ad hoc”.
“La prima cosa da considerare per comprendere lo scenario attuale – riflette il professor Massimo Antonelli, Ordinario di Anestesiologia all’Università cattolica e direttore del Dipartimento Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – è osservare che la curva pandemica sta diventando molto ripida e che a breve l’impatto sui sistemi sanitari sarà molto forte. Nel corso della prima ondata, nei centri più colpiti dall’epidemia come Bergamo, si sono dovute creare risorse dove non c’erano, passando in pochi giorni da 10 letti di terapia intensiva a 90. Ma un singolo ospedale così rischia di esplodere. Il vero nodo è il personale. Nel clou della pandemia in molti centri del nord i pazienti intubati venivano gestiti da ortopedici o da oculisti perché non c’era personale dedicato. Dobbiamo fare tesoro di queste esperienze e fare nostro il concetto di ‘preparedness’ di cui noi del Gemelli abbiamo dato grande prova a marzo con la creazione in tempi record del Columbus COVID hospital. Questo ci ha consentito di reggere bene l’impatto della pandemia, gestendo oltre 170 pazienti in rianimazione, e di diventare una case history di cui si è occupata persino la CNN. Le caratteristiche dei pazienti gravi di ieri sono le stesse di quelli di oggi – prosegue l’esperto - ma oggi siamo in grado di individuare in fase più precoce la malattia e disponiamo di qualche arma terapeutica in più. Ma i posti letto di terapia intensiva destinati ai pazienti COVID si stanno rapidamente saturando e così rischiamo di dover utilizzare quelli destinati alle altre patologie. Resta poi sempre il problema del personale; a questo proposito la società scientifica di terapia intensiva terrà a breve un webinar di due giorni per fornire nozioni di base a medici e infermieri non intensivisti, che potrebbero essere chiamati ad affiancare i rianimatori nel corso della seconda ondata. Fondamentale è anche quanto abbiamo appreso per proteggere il personale dal contagio. Uso appropriato dei DPI, ma anche l’ossigenoterapia attraverso il ‘casco’, protegge dal contagio”.
Infine, la pandemia ha avuto un impatto drammatico anche sui laboratori di microbiologia come ha ricordato intervenendo al webinar il professor Maurizio Sanguinetti, Direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Ordinario di microbiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore. “Siamo passati dal lavorare 12 ore al giorno, sei giorni su sette, a un impegno sulle 24 ore tutti i giorni della settimana – ricorda Sanguinetti - arrivando a processare anche più di 1.100 tamponi al giorno. E i problemi sul tavolo sono molti: dall’approvvigionamento dei reagenti, al garantire l’elevata qualità dei risultati in tutti i centri. Ci auguriamo che questa drammatica situazione sia l’occasione per rifondare la rete della microbiologia italiana, del tutto negletta negli ultimi 15-20 anni. Oggi abbiamo in Italia solo 41 U.O.C. di microbiologia, neppure due per regione”.
Maria Rita Montebelli