Arriva la TAVI ‘leggera’ per trattare la stenosi della valvola aortica in modo meno invasivo
Boom di procedure nell’anno della pandemia.
Tre sale angiografiche, con un unico accesso e un’unica sala risveglio non sono una buona idea in epoca COVID. Per questo, tra i tanti restyling ai quali il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS si è dovuto sottoporre durante la pandemia, c’è stato anche l’allestimento di una sala di emodinamica polifunzionale, interamente dedicata ai pazienti COVID. Che sono sempre più. “Dal mese di ottobre– afferma il professor Carlo Trani, direttore UOC Interventistica cardiologica e Diagnostica invasiva della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore aggregato Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma - stiamo vedendo sempre più pazienti COVID con urgenze cardiologiche (sindromi coronariche acute, infarti, necessità di posizionamento urgente di pacemaker, ecc.), contrariamente a quanto è accaduto la primavera dello scorso anno. Viaggiamo attualmente a una media di 2 o 3 pazienti con COVID a settimana. Se non avessimo la possibilità di trattarli in una sala “isolata”, le ricadute negative sull’attività quotidiana, sia programmata che urgente, sarebbero notevoli.
Nei mesi del lockdown, molti nostri pazienti in attesa di una coronarografia hanno preferito rinunciare all’appuntamento per paura del COVID. Così non è stato per i pazienti in lista per una TAVI (transcatheter aortic valve implantation), la correzione della valvola aortica per via transcatetere. In modo del tutto inatteso quindi, la nostra attività TAVI nel 2020 è addirittura aumentata (+10%) rispetto all’anno precedente, a fronte di una riduzione di coronarografie e angioplastiche”.
Cosa fanno i cardiologi ‘interventisti? Tutta la cardiologia invasiva, prevede l’accesso al cuore e ai grandi vasi attraverso dei cateteri vascolari e fino a vent’anni fa era dedicata quasi solo alla diagnostica. “Oggi al contrario – spiega il professor Trani - la parte più importante della nostra attività è occupata dalla terapia, in particolare sulle coronarie (angioplastiche e stent). Ma da 10-15 anni, abbiamo allargato il nostro campo di interesse alle valvole, specie quelle del cuore sinistro (l’aorta e la mitrale)”. In questo campo, a farla da padrone, è la TAVI cioè l’impianto della valvola aortica transcatetere, posizionata senza dover aprire il torace.
TAVI: un trattamento sempre più diffuso
“Con la TAVI – spiega Trani - noi impiantiamo, all’interno della valvola aortica malata, un dispositivo, cioè la valvola nuova, che ‘schiaccia’ la vecchia valvola stenotica e ne prende il posto. I vantaggi rispetto all’intervento cardiochirurgico tradizionale sono tre: 1) non si deve fare la toracotomia (apertura del torace), perché si entra da un’arteria della gamba attraverso una semplice ‘puntura’; 2) in oltre il 90% dei casi l’intervento si esegue da ‘svegli’ (con una sedazione più o meno profonda), senza anestesia generale; 3) non si ricorre alla circolazione extra-corporea, una procedura rischiosa soprattutto nei pazienti più avanti con gli anni”.
Nata come procedura da riservare ai pazienti anziani e inoperabili (nei quali riduce la mortalità a due anni di oltre il 40%), la TAVI oggi è impiegata anche per i pazienti a più basso rischio. Al Gemelli da sempre la decisione sul trattamento più idoneo per ciascun paziente viene presa in maniera collegiale dall’Heart Team che si tiene ogni mattina e l’età non è più il fattore che indirizza verso la TAVI (la paziente più giovane sottoposta a TAVI aveva 43 anni, la più anziana 96). Non c’è ancora tuttavia un’indicazione piena per i pazienti giovani a basso rischio perché non conosciamo la durata a lungo termine dei risultati dell’intervento.
La valvola usata per la TAVI è assimilabile ad una valvola biologica (per cui il paziente dopo l’intervento non deve assumere anticoagulanti), ‘cucita’ su una struttura metallica che può essere compressa, così da poter risalire dall’arteria femorale al cuore, su uno speciale catetere, che la rilascia una volta raggiunta la posizione desiderata.
La TAVI-LITE: la procedura semplificata ‘made in Gemelli’
La procedura TAVI standard prevede l’inserimento di tre cateteri vascolari: il primo, in arteria femorale per ‘trasportare’ la valvola verso il cuore; il secondo nell’arteria femorale controlaterale per ‘controllare’ il corretto posizionamento della valvola e infine, un catetere-elettrodo in vena femorale controlaterale nel caso in cui sia necessario procedere ad una stimolazione cardiaca (fino al 20% dei pazienti ha bisogno di un pacemaker, a seguito della procedura). Questo spiega perché il tallone d’Achille della TAVI siano le complicanze vascolari (lacerazione del vaso in cui entriamo, formazione di ematomi a livello inguinale, pseudoaneurismi, ecc). “Abbiamo dunque cercato di minimizzare le possibili complicanze – spiega il professor Trani- effettuando una serie di variazioni e realizzando così la procedura TAVI-LITE. Per l’accesso arterioso ancillare, quello che ci serve per verificare attraverso il mezzo di contrasto, il corretto posizionamento della valvola e per controllare che non ci siano problemi a livello dell’arteria femorale dalla quale abbiamo introdotto la TAVI, non utilizziamo più l’arteria femorale, ma quella radiale (un’arteria del polso). Poi, abbiamo del tutto eliminato l’accesso venoso femorale perché per stimolare elettricamente il cuore, sfruttiamo la guida metallica, introdotta dall’arteria femorale, quella stessa sulla quale facciamo scorrere la valvola dall’inguine al cuore.
Sempre nell’ottica di minimizzare le possibili complicanze vascolari, utilizziamo l’AGU technique (angio-guidewire-ultrasound), ovvero la puntura angio ed ecoguidata dell’arteria femorale , che permette di pungere l’arteria in sicurezza e nel punto migliore, considerando che gli introduttori per TAVI hanno un diametro di 5-6 mm (contro i 2 mm di quelli usanti per gli interventi sulle coronarie).
Con la combinazione di tecnica AGU, accesso ancillare radiale ed elettrostimolazione (pacing) dalla guida, abbiamo messo a punto questa tecnica innovativa, che abbiamo chiamato LITE-TAVI, che consente di minimizzare l’invasività della procedura incrementandone nel contempo la sicurezza”.
Maria Rita Montebelli