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Storia di Tommaso e del suo intervento eccezionale (la riparazione della spina bifida in utero)

13 Agosto 2020
Ricerca

Ci sono bambini che iniziano a lottare contro le avversità della vita anche prima di nascere. Ma per fortuna ci sono medici in grado di aiutarli a vincere questa loro lotta silenziosa e drammatica. E’ in breve la storia di Tommaso, un bel bambino di quasi due chili, nato lo scorso fine settimana al Gemelli. Se tutte le nascite sono un piccolo miracolo, quella di questo cucciolo d’uomo lo è forse ancora di più. Perché a Tommaso è stato diagnosticato un difetto del tubo neurale alla ventesima settimana di gravidanza; un disturbo che avrebbe potuto condizionare pesantemente il suo futuro, gravandolo di disabilità neurologiche difficilmente prevedibili nella loro evoluzione e di certo foriere di tanti complessi interventi neurochirurgici negli anni a venire. Ma tutto questo potrebbe essere stato scongiurato da un delicatissimo e complesso intervento neurochirurgico, effettuato alla 26ima settimana di gravidanza in utero, quando cioè Tommaso era ancora nella pancia della mamma. 

Un intervento eccezionale realizzato dagli specialisti del Centro Spina Bifida del Gemelli, un gruppo multidisciplinare del quale fanno parte ginecologi ostetrici, neurochirurghi, pediatri, ortopedici e bioeticisti. Una delle pochissime équipe in Italia in grado di effettuare questi interventi. 

La storia del piccolo Tommaso e della sua spina bifida corretta in utero

Tommaso è stato operato alla 26ima settimana di gravidanza, con una tecnica di open surgery. Dopo la delicatissima anestesia, affidata al dottor Stefano Catarci, il professor Marco De Santis, coadiuvato dalla Professoressa Lucia Masini, hanno effettuato l’intervento ostetrico.  Gli  ostetrici hanno inciso l’addome della mamma, con un taglio cesareo modificato e hanno esteriorizzato l’utero sul quale è stata praticata un’incisione di 8 cm, facendo grande attenzione a non tagliare in prossimità della placenta, per evitarne il distacco che avrebbe compromesso il prosieguo della gravidanza. Dopo l’apertura del sacco amniotico (il liquido amniotico verrà in seguito sostituito con soluzione fisiologica prima di richiudere) gli ostetrici sono arrivati così al bambino. E qui è iniziata la fase neurochirurgica dell’intervento affidata al professor Gianpiero Tamburrini, responsabile della UOC di neurochirurgia infantile della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e al dottor Luca Massimi. “Abbiamo eseguito la procedura neurochirurgica standard – ricorda il dottor Massimi - la migliore per la riparazione di un mielo-meningocele, che non si discosta molto da quella che viene normalmente effettuata dopo la nascita del bambino. In visione microscopica, abbiamo riparato il mielo-meningocele, cioè la ricostruzione del midollo che è letteralmente aperto e malformato in questi casi. Lo abbiamo quindi riallocato nel canale spinale e abbiamo infine effettuato la ricostruzione del piano meningeo e della cute. “Questo intervento - aggiunge il professor Tamburrini - durato nella fase neurochirurgica 35-40 minuti, ha consentito al piccolo Tommaso di avere il suo midollo protetto già nella vita in utero. Alla nascita abbiamo avuto modo di verificare che la cicatrice è perfettamente integra, che ha ben tenuto e ha protetto il midollo del bambino”.  L’équipe ostetrica ha quindi ricucito il sacco amniotico e, a strati, sia la parete uterina che la parete addominale della mamma. E’ il primo intervento di questo tipo effettuato in utero al Gemelli e uno dei primissimi in Italia. L’équipe del Gemelli nell’estate del 2018 aveva effettuato un training apposito presso l’Università Paulista di San Paolo (Brasile), considerato il centro di riferimento mondiale per questi interventi (oltre 300 quelli all’attivo finora), con il professor Sérgio Cavalheiro (neurochirurgo) e il professor Antonio Fernandes Moron (ostetrico del dipartimento di medicina fetale). 

La zona da operare sulla schiena di Tommaso era un’area di appena un paio di centimetri, un sacchettino di meningi e liquido cefalorachidiano da rimuovere, per poi procedere alla chiusura di quel tratto di tubo neurale che non si era saldato, come una chiusura lampo rimasta aperta nel tratto finale. Tommaso è nato con un taglio cesareo alla 35ima settimana. E al posto di quel tratto di chiusura lampo inceppata, solo una piccolissima cicatrice, una sottile linea bianca, già quasi invisibile ma che ha protetto il midollo spinale del piccolo durante la gravidanza e il parto. 

Perché operare in utero può fare  la differenza

“La caratteristica di queste malformazioni – afferma il professor Marco De Santis, responsabile della UOS Prevenzione, Diagnosi e Terapia dei Difetti Congeniti, afferente alla UOC di Ostetricia e Patologia Ostetrica diretta dal professor Antonio Lanzone e professore aggregato di Ginecologia e Ostetricia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - è che peggiorano progressivamente durante la gravidanza aumentando di conseguenza la gravità della disabilità correlata .Per questo abbiamo deciso di intervenire senza aspettare la nascita del bambino anche perché la letteratura medica dimostra che la terapia chirurgica prenatale è superiore a quella postnatale e riduce notevolmente la disabilità soprattutto motoria e la necessità di effettuare  interventi neurochirurgici in epoca postnatale e durante la vita. Certamente questi interventi sono altamente complessi e sono gravati da importanti complicanze materne e della gravidanza per cui presuppongono un’alta specializzazione ed esperienza e protocolli efficaci per il controllo del rischio di parto prematuro, di rottura delle membrane, di emorragie ed infezioni materne. Un’attenzione particolare merita l’utero materno, sottoposto allo stress di un intervento chirurgico quando deve ancora ospitare un bambino che cresce. Per evitare che l’utero si contragga e che la sutura della incisione uterina si rompa, mettendo a rischio la gravidanza, alla madre vengono somministrati sia prima che dopo l’intervento alte dosi di solfato di magnesio, di calcio antagonisti e progesterone. L’esito dell’intervento viene controllato in seguito con ecografie settimanali e anche con una risonanza magnetica e la mamma viene sottoposta ai normali controlli della gravidanza. Il taglio cesareo è stato effettuato a 35 settimane per rottura spontanea delle membrane dopo 9 settimane dall’intervento prenatale e ha avuto un ottimo esito sia per la madre che per il piccolo Tommaso. Al momento l’open surgery – conclude il prof. De Santis - è il trattamento d’elezione per la correzione in utero della spina bifida; il trattamento prenatale con fetoscopia è ancora in fase di sperimentazione, con risultati  in corso di validazione e abbiamo dunque optato per un intervento in open surgery, perché rispetto a quelli in fetoscopia da esiti migliori”.

Che cosa sono spina bifida e difetti di chiusura del tubo neurale

I difetti del tubo neurale sono problemi di sviluppo del sistema nervoso che possono coinvolgere il cervello, la colonna vertebrale e il midollo spinale; interessano circa uno su 3.000-3.500 nati vivi, ma non essendoci ancora in Italia un registro nazionale sulla spina bifida, non se ne conosce la reale incidenza.  I difetti compaiono molto precocemente, in genere nel primo mese di gravidanza, prima che la donna scopra di essere incinta. I più comuni sono la spina bifida e l’anencefalia. Tommaso era affetto dal primo, un difetto caratterizzato dal fatto che la colonna spinale non si chiude completamente in qualche suo tratto (nel caso del bambino il difetto era localizzato a livello lombo-sacrale) e che da questa fessura fuoriescono (‘erniano’) le meningi (meningocele) e a volte anche il midollo spinale (mielomeningocele), come nel caso di Tommaso. 

“La spina bifida – spiega la professoressa Claudia Rendeli, professore aggregato dell’Istituto di Clinica Pediatrica della Cattolica e responsabile della UOSD di spina bifida e uropatie malformative del dipartimento di Scienze della Salute della Donna del Bambino e di Sanità Pubblica, diretto professor Eugenio Maria Mercuri,  Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma - ha uno spettro di gravità molto ampio, che va dalle forme più gravi, le spine bifide aperte (mielomeningocele) con erniazione all’esterno del midollo e delle radici nervose, alle forme meno gravi e più difficilmente diagnosticabili in utero, che sono le forme occulte.” La prevenzione si fa con l’acido folico che deve essere assunto dalla donna prima di rimanere incinta, da tre mesi prima della gravidanza e per tutto il primo trimestre. “In Italia si fa poca prevenzione – denuncia la dottoressa Rendeli - le donne di solito cominciano a prendere l’acido folico quando scoprono di essere incinte e ormai per la spina bifida è già troppo tardi; il consiglio è quello di somministrarlo a tutte le donne in età fertile per arrivare al concepimento con una folatemia sufficiente a contrastare i difetti di sviluppo del tubo neurale. La diagnosi è affidata all’ecografia fatta da ginecologi

ostetrici esperti e con apparecchiature ecografiche di buona qualità. Oggi, nel sospetto di spina bifida in gravidanza è di grandissimo aiuto anche la risonanza magnetica fetale che aiuta a localizzare il difetto e la sua gravità e che guiderà il ginecologo verso un taglio cesareo elettivo e il neurochirurgo verso l’intervento di correzione più appropriato”.

Le conseguenze della mancata chiusura del canale neurale, vanno da problemi agli arti inferiori relativi alla deambulazione ai problemi di controllo degli sfinteri vescicale e rettale (vescia e intestino neurogeni). Ulteriori possibili complicanze sono la sindrome di Arnold Chiari che consiste in uno stiramento delle tonsille del cervelletto all’interno del canale vertebrale che comporta nel bambino disturbi di deglutizione o respiratori, fino all’arresto respiratorio o la comparsa di idrocefalo (presente in oltre l’80% dei casi di spina bifida aperta), che richiede un intervento di derivazione liquorale (il liquor in eccesso viene drenato con un cateterino dai ventricoli cerebrali, alla pancia) o una terzo-ventricolostomia in endoscopia.

“Le tecniche chirurgiche – commenta la dottoressa Rendeli - sono fondamentali per la riparazione della lesione, per prevenire le infezioni alla nascita, ma molto importante è l’approccio multidisciplinare, offerto nel nostro centro, un punto di riferimento a livello nazionale. Tommaso sarà seguito da un’équipe specializzata multidisciplinare con il neurochirurgo, l’ortopedico, il fisiatra, il gastroenterologo, il chirurgo pediatra, il neuropsichiatra infantile, tutte figure specializzate in questa patologia che sanno cogliere, il più precocemente possibile, eventuali danni secondari o segni di allarme e quindi porre rimedio il più rapidamente possibile. Noi ormai seguiamo ormai più di 1.500 pazienti con spina bifida e abbiamo solo un caso di un bambino in insufficienza renale. I nostri assistiti hanno un quoziente di intelligenza che nell’85% è normale, vanno a scuola, fanno sport e già diverse nostre pazienti si sono sposate e hanno partorito bambini sani. Tutto questo grazie all’approccio multidisciplinare, il vero punto di forza del nostro centro”.

Le cause di questi difetti non sono del tutto note. Alla base di questo problema vengono annoverati fattori ambientali (la terapia con farmaci antifolici come il metotrexate, alcuni farmaci anti-epilettici, una febbre altissima per 24-48 ore all’inizio della gravidanza) e genetici (per una coppia, il rischio di avere un altro bambino con un difetto del tubo neurale è da 5 a 10 volte superiore a quello della popolazione generale).

Maria Rita Montebelli

L'equipe del Gemelli che ha operato in utero Tommaso
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