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Se le rose non profumano più e il cibo non ha più sapore, potrebbe trattarsi di COVID-19

23 Aprile 2020
Pillole Anti COVID19

Nota a tutti come l’infezione che toglie il respiro, la COVID-19 in alcuni pazienti (fino a 1 su 3 secondo alcune casistiche) può manifestarsi anche (o solo) con un’improvvisa e completa perdita dell’olfatto (anosmia, incapacità di sentire e riconoscere gli odori), che in alcuni si associa anche all’impossibilità di percepire il sapore del cibo (ageusia o disgeusia). Non si tratta di sintomi pericolosi, assicurano gli esperti, ma andrebbero valorizzati per la diagnosi precoce o per la diagnosi dei tanti casi paucisintomatici o asintomatici che contribuiscono alla diffusione del contagio. Una ‘spia’ di malattia importante insomma, soprattutto in un’ottica di fase 2. Di fronte ad un paziente con questi sintomi insomma, sarebbe bene effettuare subito il tampone per ricercare l’eventuale presenza di infezione da SARS CoV-2 e, in caso di positività, isolare il paziente. Molte forme di anosmia regrediscono spontaneamente; nelle forme neurali può essere necessario ricorrere alla ‘riabilitazione olfattoria’.

Una perdita improvvisa e completa dell’olfatto (anosmia) potrebbe rappresentare un sintomo di infezione da COVID-19. Sono molti gli studi pubblicati in queste settimane che attirano l’attenzione sull’anosmia, sintomo spesso accompagnato dall’incapacità di percepire il sapore dei cibi (disgeusia o ageusia). Ed è importante far caso a queste particolari manifestazioni della COVID-19 per individuare eventuali persone con infezione da SARS CoV-2, anche in assenza dei sintomi caratteristici della malattia (febbre alta, tosse stizzosa, dolori muscolari, debolezza estrema). Questo sia per iniziare tempestivamente un trattamento, ma anche per isolarli ed evitare che contagino altre persone. Insomma l’anosmia potrebbe diventare, al pari delle manifestazioni dermatologiche delle quali abbiamo parlato in un altro articolo, un sintomo da valorizzare, anche nell’ottica di una transizione verso la fase 2 quando, alla ripresa delle attività sarà fondamentale cogliere sul nascere i primissimi segni e sintomi della malattia per isolare immediatamente i pazienti ed evitare che diffondano il contagio.

Professor Gaetano Paludetti

“Dagli studi pubblicati finora – nota il Professor Gaetano Paludetti, Ordinario di Otorinolaringoiatria, Direttore del Dipartimento Testa e Collo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore UOC di Otorinolaringoiatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – emerge che l’anosmia è stata riscontrata più spesso nei pazienti occidentali (dove l’incidenza potrebbe essere del 30%) che nei cinesi. La prevalenza del sintomo nella popolazione europea o americana insomma appare nettamente diverso che in quella cinese. Questo potrebbe far pensare ad una mutazione del virus oppure potrebbe dipendere dal fatto che gli europei abbiano, rispetto ai cinesi, una maggior concentrazione di recettori ACE2 (la porta d’ingresso del virus) a livello dell’epitelio olfattivo. Il sintomo sembra insorgere più spesso nella fase intermedia della malattia e viene preceduto da una forte secchezza delle mucose nasali. In generale si presenta nelle forme di gravità lieve-moderata di malattia, non nelle più gravi”.

Non è comunque certo facile fare una stima e stilare delle statistiche complete ma diversi studi hanno cercato di dare una dimensione al problema.

Tra i primi a segnalare questi sintomi inediti dell’infezione da COVID-19 sono stati, con una lettera alla rivista Clinical Infectious Diseases i medici dell’Ospedale Sacco di Milano. Tra i pazienti ricoverati presso questo ospedale, gli autori hanno riscontrato che almeno uno su tre presentava o una grave alterazione dell’olfatto o del gusto e circa uno su cinque tutte e due. Le alterazioni del gusto sono in genere molto precoci e compaiono già prima del ricovero in ospedale. Più tardi, si perde la capacità di percepire gli odori. Le donne presentano alterazioni dell’olfatto e del gusto molto più frequentemente degli uomini e i pazienti con questi sintomi sono in media più giovani.

L’ultimo studio (doi:10.1001/jama.2020.6771) sull’argomento in ordine di tempo viene dall’Università di Padova, che lo ha realizzato in collaborazione con ricercatori britannici ed è firmato tra gli altri dal prof. Paolo Boscolo-Rizzo del dipartimento di neuroscienze, Università di Padova. Lo studio è stato condotto su 202 pazienti COVID-19 in forma lieve-moderata e in isolamento domiciliare. Il 64,4% di loro riferiva perdita dell’olfatto e del gusto (oltre ad astenia, tosse e febbre). Oltre 1 paziente su 10 ha indicato la perdita dell’olfatto e del gusto come i primi sintomi della malattia, mentre altri (oltre 1 paziente su 5) ne hanno riferito la comparsa in contemporanea alle altre manifestazioni; infine, 1 paziente su 4 riferiva una comparsa tardiva di questi sintomi. Nel il 3% degli intervistati, l’anosmia rappresentava l’unico sintomo della malattia.

Più colpite da questo sintomo sono risultate le donne (3 su 4), rispetto agli uomini (poco più della metà dei pazienti).

Visto che i pazienti paucisintomatici o asintomatici sono importanti diffusori della malattia, gli esperti consigliano dunque di valorizzare questi sintomi, per cercare di individuare precocemente questi pazienti e avviarli subito all’esecuzione del tampone.

L’Istituto Superiore di Sanità, come anche i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) americani hanno di recente aggiunto la voce ‘perdita dell’olfatto e del gusto’ nella lista dei sintomi alla pagina ‘informazioni sul COVID-19’, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità non li ha ancora valorizzati.

Perché i pazienti non sentono più gli odori

“L’anosmia – spiega il professor Paludetti - può essere di tipo ‘trasmissivo’ o ‘neurale’. La forma trasmissiva si verifica quando la mucosa nasale si edemizza cioè ‘si gonfia’; quando la mucosa si decongestiona, torna anche l’olfatto. Questo però sembra accadere in una bassa percentuale di pazienti con COVID-19. Il meccanismo più frequente alla base dell’anosmia da COVID-19 sembra invece essere una lesione neurale, a carico dell’epitelio olfattivo; il virus penetra cioè nella cellula (attraverso i recettori ACE2) e la distrugge, dando una lesione olfattiva importante. In questi casi il recupero è molto più lento e per molti potrebbe essere anche incompleto; questo lo potremo vedere solo nel tempo, continuando a seguire questi pazienti.

Abbiamo due tipi di olfatto – prosegue il professor Paludetti - quello propriamente detto (‘olfattivo’) e quello trigeminale. Alcune sostanze irritanti o pungenti sono infatti in grado di stimolare le terminazioni trigeminali dell’epitelio nasale. Questo potrebbe fare una differenza, nel senso che il paziente con COVID19 potrebbe continuare a percepire gli odori cosiddetti ‘trigeminali’ (es. canfora, chiodi di garofano, alcol, ammoniaca, zenzero, curry, ecc), mentre perderebbe quelli olfattivi. Non lo abbiamo ancora documentato scientificamente ma sull’argomento è possibile che verranno fatti studi ad hoc nella fase post-COVID”.

La spiegazione della perdita di olfatto e gusto andrebbe ricercata secondo altri esperti anche nel fatto che il coronavirus riesce a penetrare nei neuroni del bulbo olfattivo (che hanno le terminazioni nervose nel naso dove catturano le molecole odorose per trasmetterne poi ‘notizia’ alla corteccia cerebrale, che le riconosce come appartenenti ad una fonte specifica) e che le cellule che rivestono la mucosa della bocca sono molto ricche di recettori ACE2, la porta d’ingresso che consente l’ingresso del virus nelle cellule.

Un case report pubblicato di recente su JAMA Otolaryngology- Head & Neck Surgery offre anche una spiegazione ‘visiva’ al fenomeno. Si descrive il caso di una donna di 40 anni che all’improvviso ha notato la perdita completa dell’olfatto, senza peraltro presentare ‘raffreddore’ o senso di ostruzione nasale. In questo caso non era presente disgeusia perché la donna riusciva a percepire distintamente il gusto salato, amaro, dolce e aspro. Qualche giorno prima aveva presentato tosse secca accompagnata da cefalea e dolori muscolari. Niente febbre, né secrezioni nasali. L’esame otorino (otoscopia e rinoscopia anteriore) risultava normale. La capacità di percepire gli odori è stata testata facendo annusare alla paziente 5 odori comunemente usati per il test dell’olfatto: feniletil-alcol (profumo di rosa), ciclotene (profumo di caramello e di mandorla bruciata), acido isovalerico (odore di formaggio di capra), undecalactone (forte odore di pesca), scatolo (odore fecale). La donna non riusciva a percepire, né a riconoscere alcuno di questi odori. La TAC e la risonanza magnetica delle cavità nasali della paziente ha rivelato la presenza di un’infiammazione dei solchi olfattivi che impediva evidentemente alle molecole odorose di raggiungere l’epitelio olfattivo. Il tampone naso-faringeo ha rivelato che la positività per SARS CoV-2.

Anche gli autori di questa segnalazione concludono dunque che la perdita improvvisa e completa dell’olfatto in un paziente senza ostruzione nasale, né altri sintomi (come tosse o febbre) dovrebbe immediatamente allertare il medico e far sospettare la presenza di un’infezione da SARS CoV-2.

Il trattamento dell’anosmia

“Nel caso dell’anosmia trasmissiva – spiega il professor Paludetti -  questa si può giovare di spray nasale con un po’ di cortisone; nei casi ‘non COVID’ viene abitualmente somministrato del cortisone, ma in questi pazienti, questa pratica è più discussa, soprattutto nella fase acuta.

Nel caso dell’anosmia neurale, l’unico trattamento possibile è invece la cosiddetta ‘riabilitazione olfattoria’ , che qui al Gemelli facciamo. Il trattamento consiste nella stimolazione con sostanze e molecole molto intense che stimolano l’epitelio olfattivo e la aiutano pian piano a recuperare la sua funzione. Si tratta di un vero e proprio training olfattivo.

La perdita dell’olfatto è comune anche in altre malattie virali, dall’influenza al raffreddore da rinovirus ad esempio e può essere permanente in un terzo dei casi. Non sappiamo ancora come si comporta da questo punto di vista l’anosmia da nuovo coronavirus. Lo scopriremo solo continuando a seguire questi pazienti nei prossimi mesi".

Maria Rita Montebelli

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