Giornata mondiale ictus. Le nuove linee guida, l’apertura delle finestre temporali per le terapie antitrombotiche

In occasione della giornata di sensibilizzazione contro la grave patologia cerebrale che si celebra domani, il punto sulle novità delle terapie e le reti di cura ai tempi di COVID. Il Gemelli uno dei quattro hub della Regione Lazio per la cura dell’ictus. Ne abbiamo parlato con Giovanni Frisullo, responsabile del percorso ictus intra-ospedaliero della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
#DontBeTheOne, ovvero “non essere quella persona”, è il claim scelto per la giornata mondiale contro l’ictus cerebrale 2020 dalla World Stroke Organization. Una persona su 4 nel corso della vita potrebbe essere colpita da un ictus, ma la buona notizia è che l’80% di questi possono essere evitati attraverso un sano stile di vita e individuando tempestivamente patologie, come la fibrillazione atriale, che possono portare a questa complicanza, qualora non si adottino idonee misure di prevenzione.
L’ictus all’epoca del COVID
E nella prima metà di quest’anno, l’ictus si è arricchito di un nuovo agente eziologico: il SARS CoV 2. “Nei mesi primaverili – spiega il neurologo Giovanni Frisullo, responsabile del percorso ictus intra-ospedaliero Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - abbiamo osservato un aumento dell’incidenza dell’ictus nei pazienti affetti da SARS CoV2, probabilmente dovuto a una trombofilia (una maggior tendenza a formare trombi) o a un processo infiammatorio sistemico.

Nelle ultime settimane purtroppo, l’incidenza di queste particolari forme di ictus legate al SAR CoV2 ha ripreso a salire. I pazienti interessati sono in genere più giovani, senza o con minor fattori di rischio rispetto agli ictus tradizionali, e presentano un coinvolgimento prevalente dei grossi vasi intracranici (molto meno di frequente dei piccoli vasi). La prognosi è peggiore, se vi sono complicanze respiratorie associate (la polmonite da COVID 19). Il trattamento è lo stesso (trombolisi e trombectomia) degli ictus ‘non COVID”.
Epidemiologia dell’ictus ai tempi del COVID
Dal punto di vista organizzativo, dall’inizio della pandemia a livello mondiale è stata segnalata una riduzione per i ricoveri da ictus. “Questo dato però – specifica il dottor Frisullo - non è stato confermato nella nostra casistica; abbiamo osservato solo una modesta flessione nel numero di ricoveri per ictus, non significativa rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
C’è stato tuttavia un aumento del tempo onset to door, cioè del tempo tra l’insorgenza dei sintomi e l’arrivo del paziente in Pronto soccorso. Questo ha portato purtroppo a una riduzione del numero di trattamenti di trombolisi, quelli utili per rivascolarizzare (cioè per ‘riaprire’) il vaso chiuso. Pensiamo che la paura del COVID abbia portato a ritardare o l’invio del paziente al Pronto soccorso o il contatto dei sistemi di emergenza, quali nel Lazio l’ARES-118. E questo ha avuto delle conseguenze negative sugli esiti dei pazienti ricoverati per ictus durante la pandemia. Non abbiamo registrato un aumento di mortalità, ma un lieve incremento di disabilità post-ictus, come valutato dalla NIH stroke scale”.
Il tempo è cervello
Di fronte ai campanelli d’allarme di un ictus, il consiglio di sempre è quello di non perdere tempo e di chiamare subito i soccorsi per recarsi in ospedale. Perché tante più cellule del cervello muoiono, tanto più incompleto e doloroso sarà il recupero dall’ictus. “In linea teorica – spiega il neurologo del Gemelli - vale il principio della golden hour, il miglior esito del trattamento si ha se il paziente viene rivascolarizzato entro la prima ora dall’esordio dei sintomi. Se il paziente, riesce ad arrivare in ospedale presto, il vantaggio sulla ripresa è netto”. E i campanelli d’allarme, che tutti dovrebbero avere ben presenti, sono a livello internazionale racchiusi in un acronimo, che è anche un invito a fare in fretta: FAST, dove F sta per face (un’asimmetria della faccia), A sta per arm (un deficit di forza agli arti), S sta per speech (un disturbo del linguaggio) e T sta per time (tempo, cioè ‘fare presto’).
L’ictus nella rete. Gemelli: uno dei 4 hub della Regione Lazio
L’ictus è una patologia tempo-dipendente che richiede una rete di centri di riferimento con specialisti in grado di somministrare ai pazienti le patologie più efficaci (dalla trombolisi, alla trombectomia), ma anche una macchina organizzativa ben oliata, fatta di reti e di percorsi sia extra-ospedalieri (regionale) che intra-ospedalieri, per poter permettere ai pazienti di arrivare al più presto in ospedale per poter ricevere il miglior trattamento. “A questo proposito – spiega il dottor Frisullo - la Regione Lazio ha appena aggiornato la rete delle malattie tempo-dipendenti (Determina del 13 ottobre 2020), recependo le novità emerse dalle linee guida europee e, nel mese di ottobre, dalla pubblicazione delle linee guida italiane sull’ictus (SPREAD). In particolare, il Policlinico Gemelli è uno dei 4 hub della rete disegnata dalla Regione Lazio, uno dei quattro poli principali dove è possibile effettuare il trattamento trombolitico e di trombectomia. Il nostro servizio è attivo 7 giorni su 7 H24, con un bacino d’utenza che va da Roma Nord a un’area extra-urbana molto estesa (da Civitavecchia, a Viterbo, a Rieti).
Il numero di persone affette da ictus che afferiscono al Gemelli è circa 700 l’anno; 500 sono quelli trattati in Stroke Unit. La Stroke Unit del Gemelli, dotata di 8 posti letto, è stata attivata 15 anni fa. Da due anni le abbiamo affiancato un reparto post-stroke, con 12 posti letto, che aiuta a mantenere alto il turn over della Stroke Unit (qui vengono trasferiti dopo 48 ore i pazienti ricoverati in Stroke Unit, una volta stabilizzati)”.
Finestre temporali di trattamento sempre più ‘spalancate’
La novità principale recepita dalle linee guida SPREAD 2020 e dalla Determina Regionale inerente alla riorganizzazione delle reti di patologie tempo dipendenti (ictus, infarto, traumi) è l’estensione della finestra di trattamento, sia per quanto riguarda il trattamento trombolitico sistemico, che per il trattamento endovascolare. “Per la trombolisi sistemica- spiega il dottor Frisullo - che consiste nella somministrazione di un farmaco in grado di sciogliere il trombo che ha occluso il vaso responsabile dell’ictus, fino a 10 anni fa il tempo utile (la finestra temporale di trattamento) era indicato in tre ore. In seguito questo intervallo è stato esteso fino a 4,5 ore dall’esordio dei sintomi e adesso – questa la novità delle ultime linee guida – è stato portato fino a 9 ore, previa esecuzione di esami neuroradiologici di secondo livello (una TAC perfusionale o una risonanza magnetica dove si confrontano le sequenze che evidenziano il core ischemico con quelle di perfusione che sono in grado di evidenziare l’area di ‘penombra’) che permettono di evidenziare la presenza di un mismatch tra il core ischemico (cioè l’area di cervello ormai persa, necrotica) e l’area cosiddetta di ‘penombra’ circostante, cioè l’area di cervello ancora salvabile. Questa importante novità – conclude il dottor Frisullo - permette di estendere a una significativa fetta della popolazione il trattamento trombolitico. Stessa cosa dicasi per la trombectomia meccanica (che consiste nell’arrivare a un grosso vaso cerebrale chiuso da un trombo, per aspirarlo e rimuoverlo), autorizzata in passato fino a 6 ore dall’inizio dei sintomi; attualmente le nuove linee guida hanno esteso la finestra di trattamento fino a 24 ore. Sono novità rivoluzionarie che consentiranno di trattare tanti più pazienti, salvandoli dalla disabilità o quanto meno riducendola notevolmente”.
Maria Rita Montebelli