Casi in aumento, ma anche farmaci più efficaci contro la fibrosi polmonare idiopatica
Sono numerosi e importanti i passi avanti compiuti nella cura della fibrosi polmonare idiopatica (meglio conosciuta come IPF, dall’acronimo anglosassone idiopathic pulmonary fibrosis), malattia rara che colpisce i polmoni e per la quale sono da poco di-sponibili due farmaci che dimezzano la progressione della patologia, caratterizzata dallo sviluppo irreversibile di tessuto fibroso nel polmone, causa di progressiva insufficienza respiratoria. È quanto emerge da una review pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, scritta dal prof. Luca Richeldi (nella foto), che dal 1° marzo è Ordinario di Malattie dell'Apparato Respiratorio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore dell’ Unità Operativa Complessa di Pneumologia della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, approdato a Roma dopo una brillante parentesi della sua carriera all’estero.
Il prof. Richeldi, infatti, dal 2013 al 2017 è stato Professor of Respiratory Medicine (Chair of Interstitial Lung Disease) presso l’University of Southampton (Regno Unito). Nello stesso periodo ha ricoperto l’incarico di Honorary Consultant Physician presso il Southampton General Hospital NHS Trust.
Al Policlinico Gemelli sono seguiti attualmente da una équipe multidisciplinare circa 100 pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica (IPF), un numero significativo, che fa del Gemelli uno dei punti di riferimento nazionali per la cura di questa complessa malattia.
The Lancet pubblica regolarmente Seminar, articoli che hanno lo scopo di fare il punto sugli avanzamenti, generalmente nei 5 anni precedenti la pubblicazione, su malattie particolarmente rilevanti o in cui ci siano state particolari novità.
Il precedente Seminar sulla fibrosi polmonare idiopatica era stato pubblicato da autori americani nel 2011 e l’articolo del prof. Richeldi ne rappresenta l’aggiornamento.
I motivi per cui The Lancet pubblica questo articolo sono, da un lato, mettere in evidenza la crescente rilevanza clinica della malattia, per la quale sono state pubblicate di recente linee guida internazionali (di cui il prof. Richeldi è uno dei co-autori), dall’altro riportare i risultati ottenuti con i nuovi farmaci.
“Attualmente vediamo un numero crescente di casi di questa malattia”, spiega il prof. Richeldi. Un recente studio epidemiologico inglese evidenzia un aumento di incidenza da circa 8 nuovi casi ogni 100 mila persone nel 2004 a oltre 12 casi nel 2012. “Probabilmente questa crescita deriva dal fatto che la patologia e le sue caratteristiche sono oggi meglio conosciute e sono disponibili linee guida per la diagnosi. Non si può però escludere che gli affetti da patologia siano effettivamente in aumento e?ciò potrebbe dipendere da due cause: l’invecchiamento della popolazione e, probabilmente, l’aumento delle esposizioni ambientali, potenzialmente coinvolte nella patogenesi della malattia”.
“In meno di dieci anni la comprensione della patogenesi e la gestione di questa malattia si sono radicalmente trasformate - sostiene ancora il prof. Richeldi - e due terapie che modificano in modo significativo il decorso della patologia hanno ricevuto l’approvazione delle autorità competenti a livello mondiale”.
Cosa è la IPF, un nemico difficile, ma che si può combattere e rallentare
La malattia
La fibrosi polmonare idiopatica, o IPF, è una malattia polmonare annoverata tra le patologie rare. La frequenza della malattia è probabilmente sottostimata, in quanto il percorso diagnostico è abbastanza complesso e richiede competenze multidisciplinari. La malattia è caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di cellule nel polmone chiamate ‘fibroblasti’ e dall'accumulo di ‘matrice extracellulare’ (fondamentalmente tessuto fibroso al di fuori dalle cellule), che determinano un'alterazione irreversibile dell'architettura del polmone con conseguente riduzione degli scambi gassosi e insufficienza respiratoria. L’IPF colpisce prevalentemente uomini dopo i 60 anni di età. Dati recenti di uno studio italiano indicano che i casi prevalenti sono 30-40 ogni 100.000 persone. Ciò significa che in Italia si può stimare la presenza di almeno 15.000 malati di IPF, con oltre 5.000 nuovi casi ogni anno.
La causa della malattia resta sconosciuta (per questo si chiama “idiopatica”). Esistono però forme familiari, cioè che colpiscono membri della medesima famiglia, per cui, almeno in una parte dei casi, sono coinvolti fattori genetici.
Le cure
In Italia sono oggi disponibili due farmaci approvati per il trattamento dell’IPF, pirfenidone (Esbriet, dal 2013) e nintedanib (Ofev, dal 2016). Il pirfenidone è un farmaco che si assume per bocca 3 volte al giorno, pleiotropico con molteplici effetti sulla produzione e la deposizione di collagene, che ha dimostrato in studi clinici di fase 2 e fase 3 di ridurre la progressione di malattia, misurata come capacità polmonare, di circa il 50% nel corso di un anno di trattamento. I principali effetti collaterali del farmaco sono la nausea e la fotosensibilizzazione a livello cutaneo. Il nintedanib è un inibitore delle tirosin-chinasi, somministrato per via orale 2 volte al giorno, che agisce a livello di specifiche molecole coinvolte nella genesi e il mantenimento delle fibrosi. In studi clinici di fase 2 e 3 ha dimostrato di rallentare la perdita di funzione polmonare, riducendo la perdita di circa il 50% nel corso di un anno di trattamento. Il principale effetto collaterale è rappresentato dalla diarrea.
La storia naturale dell’IPF è caratterizzata da una inesorabile progressione nel corso degli anni, con una sopravvivenza media dopo la diagnosi compresa tra 3 e 5 anni dopo la diagnosi. In generale, purtroppo solo circa il 30% dei pazienti sopravvive 5 anni dopo la diagnosi, una prognosi peggiore della maggior parte delle patologie oncologiche.