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Cancellare le aritmie maligne con un raggio di energia

28 Maggio 2020
Ricerca

Medicina personalizzata è anche la contaminazione di successo tra branche diverse della medicina. Ed è quello che si è concretizzato in un paziente con aritmie potenzialmente fatali, trattato al Gemelli con l’innovativa metodica STAR (radioablazione stereotassica), peraltro in piena emergenza COVID19. Una cinquantina gli interventi di radioablazione finora eseguiti nel mondo, ma questo effettuato al Gemelli è in assoluto il primo realizzato con l’apparecchio VARIAN Edge,una vera e propria Ferrari della radioterapia, di cui al momento esistono in Europa solo 22 macchine. Pietro, questo il nome di fantasia del paziente romano sessantenne, soffriva di una grave aritmia diventata resistente a tutte le terapie tentate fino a quel momento. Così un’équipe di cardiologi e radioterapisti, ha deciso di giocare la carta della STAR, una tecnica che consiste nel ‘bruciare’ con un fascio di radiazioni ultra-concentrate  – come quelle usate per trattare i tumori – quel pezzetto di cuore dal quale originavano i suoi problemi.

La storia di Pietro, il paziente ‘zero’ della radioablazione con la ‘Ferrari’ degli apparecchi di radioterapia

Pietro è portatore di una grave dilatazione del cuore (residuata dopo una brutta influenza nel 2008), che può provocargli aritmie, potenzialmente mortali. Per questo gli è stato da tempo impiantato un defibrillatore che è stato il suo angelo custode per tutti questi anni. Il defibrillatore è un apparecchio in grado di riconoscere le aritmie pericolose e di erogare una scossa elettrica in grado di interromperle. Nel 2019, per comparsa di una grave crisi ‘elettrica’ del cuore, gli è stato impiantato un defibrillatore più avanzato per lo scompenso per permettere al cuore di recuperare di contrattilità, dopo un intervento (ablazione transcatetere) di ‘bruciatura’ del nodo atrio-ventricolare, uno snodo importate del sistema elettrico del cuore che, essendo malfunzionante, gli facilitava la comparsa di aritmie.

Lo scorso febbraio, Pietro viene nuovamente ricoverato a Gemelli, in terapia intensiva coronarica perché il suo cuore era stato investito da una vera e propria ‘tempesta elettrica’, una tachicardia ventricolare degenerata rapidamente in fibrillazione ventricolare. I cardiologi sono riusciti a scongiurare il peggio sottoponendolo ad uno shock elettrico (cardioversione), prima che il suo cuore smettesse di battere. Ma il pericolo che l’episodio si ripetesse era molto alto.

Era dunque necessario intervenire in maniera più decisa su quel pezzetto di ventricolo, diventato la madre di tutte le aritmie, nonché la sua spada di Damocle. E quel ‘qualcosa’ è stato individuato nella tecnica STAR, un sistema rivoluzionario che consente di applicare con precisione millimetrica un fascio di radiazioni super-concentrate (le stesse usate per trattare i tumori) sul punto di origine delle aritmie, individuato dai cardiologi con il ‘mappaggio elettro-anatomico’.

Dimesso dall’ospedale dopo una settimana dal trattamento, Pietro, a distanza di tre mesi, non ha avuto più disturbi.

Aritmie ventricolari, la causa della morte improvvisa ‘elettrica’

 “Le aritmie ventricolari – spiega la dottoressa Gemma Pelargonio, responsabile UOSD di Aritmologia, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e ricercatore presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore – sono ritmi rapidi del cuore provenienti dal ventricolo; se il cuore batte troppo rapidamente, si riduce la quantità di sangue che è in grado di pompare e dunque l’afflusso di sangue al cervello e agli altri organi, una condizione che può portare a morte il paziente. A rischio di tachicardia ventricolare sono i pazienti che hanno una contrattilità ridotta del cuore (scompenso cardiaco grave) o quelli con delle cicatrici all’interno del cuore (provocano le cosiddette aritmie da rientro). In questi casi è importante agire rapidamente, proteggendo il paziente con un defibrillatore. Necessari anche i farmaci anti-aritmici, che spesso però funzionano poco on questi pazienti. E’ dunque necessario intervenire direttamente sul circuito elettrico del cuore. Si comincia mappando l’‘impianto elettrico’ del cuore, alla ricerca del punto andato in ‘corto circuito’. Una volta individuato, si cerca di interromperlo (come quando l’elettricista taglia i fili elettrici), con la cosiddetta ablazione transcatetere, “che si può fare in vari modi – spiega la dottoressa Pelargonio – utilizzando energie a radiofrequenza (che ‘bruciano’ la parte producendo calore) o al contrario con crioenergie, che bruciano col freddo. Queste procedure vengono effettuate in genere dall’interno del cuore o, più raramente, dalla superficie dell’organo. Ma spesso non basta perché il circuito elettrico guasto può non essere raggiungibile. Per una nicchia di pazienti dunque, una valida alternativa è rappresentata da una terza via, la radio ablazione, effettuata dall’esterno del corpo.

Gemma Pelargonio e Francesco Cellini

Radioterapia non solo per i tumori. Ecco cosa può fare per le malattie del cuore

 “L’intervento di radioablazione – spiega il dottor Francesco Cellini, assistente medico con incarico di alta specializzazione in radioterapia Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – viene effettuato con il paziente sveglio (non si sente alcun dolore durante la procedura) e costantemente monitorato per i parametri vitali. Il fascio di radiazioni ultra-concentrate (‘collimate’) viene indirizzato contro il bersaglio individuato in precedenza dai cardiologi con la mappatura elettro-anatomica. L’intervento dura una mezz’ora circa. La parte più difficile consiste nel centrare costantemente con grande precisione il bersaglio, mentre il cuore si muove (l’intervento si effettua a cuore battente), senza danneggiare le strutture sane. Il sistema ‘spara’ il fascio di raggi fotonici solo quando è sicuro di colpire con precisione il bersaglio e la guida viene fornita da immagini TAC (acquisite prima di iniziare il trattamento per la ‘centratura’) e da un’immagine di riferimento tridimensionale, acquisita da uno scanner a infrarossi che monitorizza la superficie toracica del paziente durante tutta la durata del trattamento, per essere certi che il bersaglio non si sposti.

“La radioterapia – prosegue il dottor Cellini – è un trattamento non invasivo, che utilizza radiazioni elettromagnetiche (un’energia simile a quella che si utilizza per le radiografie e per le TAC), estremamente concentrate su un punto più o meno grande. Nell’applicazione cardiologica (al momento nel mondo sono meno di 50 i pazienti trattati con questa tecnica) possono essere utilizzate tre diverse tecnologie. Al Gemelli ne abbiamo due su te, nella loro versione più avanzata. Per la prima volta al mondo, per un intervento di radioablazione, abbiamo utilizzato l’apparecchio VARIAN Edge, una vera e proprio Ferrari della radioterapia (in tutta Europa ci sono solo 22 macchine come questa)”.

Oltre che in campo oncologico, la radioterapia è utilizzata anche per la prevenzione delle restenosi delle coronarie dopo angioplastica, in alcune malformazioni artero-venose, negli adenomi dell’ipofisi, per trattare cioè punti difficilmente accessibili. Per l’intervento al Gemelli è stato utilizzato per la prima volta per un’applicazione in campo cardiologico l’apparecchiatura dedicata alla SBRT ‘TrueBeam Edge Linac’, un sistema messo a punto dalla Varian Medical Systems, una company californiana.

“Grazie ad una stretta collaborazione con la Fisica Sanitaria del nostro Dipartimento – prosegue il dottor Cellini – abbiamo potuto eseguire il primo trattamento documentato con un Linac dedicato specificamente alla radioterapia stereotassica (Varian- Edge) applicando, oltre alle procedure di controllo del movimento preliminari alla terapia, anche un controllo continuo durante l’intera seduta. Nel nostro centro abbiamo peraltro a disposizione anche un’altra apparecchiatura all’avanguardia per la Radioterapia: il sistema MRIdian (ViewRay). Questo sistema (a nostra disposizione tra i primi esemplari al Mondo, già dal 2017) permette di controllare costantemente la posizione del bersaglio da trattare e seguirne gli eventuali spostamenti attraverso una guida d’immagine con risonanza magnetica, associata ad un rivoluzionario approccio per la radioterapia che consente anche di riaggiornare il calcolo delle distribuzioni di dose prima di ogni seduta di trattamento”.

“In linea con la nascente letteratura scientifica in quest’ambito di nicchia – afferma la dottoressa Maria Lucia Narducci, assistente medico con alta specializzazione in cardiologia Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS –  il nostro gruppo congiunto ha deciso di chiamare questo trattamento ‘Radioablazione stereotassica delle aritmie ventricolari’ (StereoTactic ventricular Arrhythmia Radioablation  – STAR) e di avviare un protocollo di studio che punta ottimizzarne i risultati e definire modelli predittivi per individuare i pazienti con le maggiori probabilità di beneficio dalla STAR ma anche per personalizzare il trattamento ablativo delle tachicardie ventricolari, ricorrendo a molteplici piattaforme di trattamento: dall’ablazione in radiofrequenza con mappaggio elettroanatomico, alla radioablazione stereotassica”.

Interventi mini-invasivi contro le aritmie, quando i farmaci non funzionano più

“Per i pazienti affetti da gravi aritmie ventricolari, che non rispondano ai farmaci e che abbiano avuto persistenza degli episodi aritmici anche dopo ablazione – commenta il professor Filippo Crea, Ordinario di Cardiologia all’Università Cattolica campus di Roma, Direttore UOC di Cardiologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Direttore del Dipartimento Universitario di Scienze Cardiovascolari e Pneumologiche della Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS  – le speranze terapeutiche sono state fino ad oggi esigue. Negli ultimi due anni, la moderna frontiera d’applicazione clinica della ricerca scientifica in questo settore, ha proposto il trattamento di tali delle aritmie ventricolari sostenute, minacciose per la vita, con la radioterapia stereotassica. Anche se sporadiche esperienze sono state descritte fin dal 2015, è dalla fine del 2017 che questo particolare approccio non invasivo è stato più ampiamente divulgato nelle esperienze preliminari della Washington University di St. Louis (USA), pubblicate dal New England Journal of Medicine”.

“La Radioterapia – ricorda il Professor Vincenzo Valentini, Ordinario di Radiologia all’Università Cattolica campus di Roma e Direttore della UOC di Radioterapia Oncologica, Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Radioterapia Oncologica ed Ematologia Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – benché più diffusamente impiegata come uno delle tre principali presidi dei trattamenti oncologici (accanto a quello sistemico e quello chirurgico), ha da sempre una quota di indicazioni cliniche non oncologiche. In particolare, proprio in ambito cardiologico sono state condotte in passato esperienze di trattamento radiante per la prevenzione del rischio di re-stenosi coronariche dopo angioplastica. Il moderno trattamento che proponiamo in questo progetto congiunto – prosegue il professor Valentini – si basa sulla radioterapia stereotassica, la più precisa e collimata tipologia di moderna radioterapia. In particolare questo trattamento viene eseguito in una singola seduta che rilascia una dose di radiazioni elettromagnetiche tanto elevate, quanto localmente concentrate, sullo specifico bersaglio oggetto del trattamento, in questo caso il cuore e, in particolare, sulla zona individuata come responsabile delle aritmie ventricolari. In gergo si parla di radiochirurgia o radioablazione”.

Maria Rita Montebelli

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