Ridisegnare il futuro dell’assistenza per i pazienti. Le lezioni della pandemia COVID-19

In questi giorni, lo sforzo di tutti i sistemi sanitari è volto a dare una risposta immediata per arginare l’esercito dei pazienti ‘acuti’ con infezione da COVID-19. Emergenze non differibili che stanno impegnando in uno ‘stress test’ senza precedenti i reparti di rianimazione, come quelli di degenza ‘ordinaria’. Ma c’è chi comincia a guardare oltre; in un momento di emergenza è fondamentale mantenere lucidità e pianificare l’assistenza per i mesi a venire, senza farsi travolgere dal presente. L’infezione da COVID-19, ormai è chiaro, impone una degenza molto lunga. Tanto per fare un esempio, la coppia di turisti cinesi, i primi pazienti con infezione da coronavirus trattati in Italia, è stata ricoverata allo Spallanzani il 28 gennaio, da dove è stata dimessa, per passare al San Filippo Neri, solo il 19 marzo scorso. Un mese e venti giorni di degenza. Bisogna tenerne conto nel progettare l’assistenza di oggi, senza trascurare il dopo, il ‘day after’ dello tsunami.
E’ la riflessione affidata anche ad una pubblicazione su JAMA, siglata da David Grabowski (dip. Health Care Policy, Harvard Medical School, Boston, Usa) e da Karen E. Joynt Maddox (dip. di medicina, Washington University, St. Louis, Usa).
Anche negli Stati Uniti le proiezioni nazionali suggeriscono che gli ospedali saranno travolti dai pazienti con coronavirus nei prossimi mesi. Bisognerà dunque attrezzarsi per l’emergenza, ma anche per quello che verrà dopo. Molti pazienti con infezione da COVID-19 – scrivono gli autori – avranno bisogno di assistenza nella fase post-acuta per potersi riprendere ed essere protetti nella fase di transizione dall’ospedale a casa o in altri contesti. Questo darebbe anche modo di liberare, appena possibile, posti per acuti negli ospedali. Ci sarà insomma bisogno di post-acuzie e di strutture di riabilitazione dedicate ai ‘guariti’, ma anche di hospice per chi non può farcela. Dati americani suggeriscono che oltre un paziente su 3 di quelli ricoverati per sepsi (condizione gravata dalla stessa mortalità ospedaliera del COVID-19) richiede un ricovero in post-acuzie e uno su 5 ha bisogno di una qualche forma di assistenza domiciliare.
Ma anche le post-acuzie e le lungodegenze, non potranno più essere quelle che abbiamo conosciuto finora. Negli Usa come in Italia, le case di riposo rischiano di diventare cluster di casi, focolai di contagio. “I Centers for Medicare & Medicaid e Services americani hanno stabilito una serie di regole – ricordano gli autori – per prevenire la comparsa di ulteriori focolai a partire da queste strutture, comprese la policy ‘no visitatori’, lo stop alle attività di gruppo e alle cene collettive.”
Un principio ineludibile secondo gli autori è che tutti i pazienti, prima di essere trasferiti in una post-acuzie, anche se ricoverati per patologie ‘non-COVID’, vengano sottoposti a tampone per verificare che non siano ‘positivi’. Nessun paziente COVID inoltre, anche se stabile, dovrebbe essere trasferito in una post-acuzie che non abbia la possibilità di isolarlo; non è infatti ancora chiaro per quanto tempo il paziente rimanga contagioso (cioè continui ad eliminare il virus), dopo la guarigione. Insomma, finita l’emergenza, ci sarà bisogno di post-acuzie dedicate e specializzate nella gestione dei pazienti COVID, anche riconvertendo – ipotizzano gli autori – alcuni piccoli ospedali. Il governatore di New York, Andrew Cuomo ha proposto di utilizzare gli ingegneri militari per ristrutturare edifici dismessi, come vecchie basi militari o dormitori dei college, riadattandoli a strutture di post-acuzie e riabilitazione temporanei.
Un altro approccio che sta prendendo corpo, è quello di trattare i pazienti convalescenti a casa loro, ma per farlo sarà necessario investire in modelli di ‘ospedale a casa’. In un caso o nell’atro, cruciale sarà lo staff – affermano gli autori – che dovrà avere non solo un’esperienza consolidata, ma essere dotato anche di dispositivi di protezione, per gestire questi pazienti; dovrà inoltre essere sottoposto regolarmente a tampone, per assicurarsi che non diventi a sua volta fonte di contagio.
In un futuro post-COVID, la telemedicina – scrivono gli autori – avrà sempre più ruolo e importanza. Medicare ha, a questo proposito, di recente annunciato che rimborserà tutti i servizi di telemedicina. Andranno inoltre adeguati i sistemi di pagamento per l’assistenza ai pazienti COVID e dati incentivi al personale dedicato.
Se fino ad ora ci si è insomma limitati a rincorrere l’emergenza – concludono gli autori – una buona pianificazione del futuro, le ci basi dovranno essere gettate già da oggi, non potrà prescindere dall’occuparsi delle cure in post-acuzie, anche per continuare a garantire un’adeguata recettività per i casi acuti, nelle settimane e nei mesi a venire.
Ridisegnare il territorio: ospedale a casa e tecno-assistenza: la vision del professor Roberto Bernabei
“Sono almeno 20 anni – esordisce il professor Roberto Bernabei, Ordinario di Medicina Interna e Geriatria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, direttore Dipartimento Scienze dell’invecchiamento, neurologiche, ortopediche e della testa-collo della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e presidente di “Gemelli a Casa” - che auspichiamo cambiamenti in questa direzione. L’ospedale, per come ha funzionato finora, con l’emergenza COVID, ha dato il suo canto del cigno rispetto alla possibilità di essere ‘totipotente’, di gestire tutto, dal raffreddore all’intubazione. Bisogna completamente e definitivamente cambiare la testa perché così questo mondo si fa male quando gli anziani vanno fuori controllo. E’ necessario tenerli sotto controllo, prima, durante e dopo un evento acuto. Questo vale sia per le ondate di calore estive, che per il COVID. E’ necessario sapere da prima chi può essere colpito dalle ondate di calore, in modo tale da prevenire e non arrivare al ricovero. Nel caso del COVID – prosegue il prof. Bernabei - bisogna intercettare le persone che hanno delle patologie, che sono diventate patologie ‘indice’, che possono fare morte, nel caso subentri l’infezione da COVID-19. E parliamo di cardiopatia ischemica, fibrillazione atriale, ipertensione, diabete, insufficienza renale, bronchite cronica. Chi è affetto da queste patologie, e magari non le tiene adeguatamente sotto controllo, nel momento dell’infezione, può avere conseguenze fatali. Infine, le persone che superano la fase acuta del COVID, non la possono superare dentro l’ospedale per acuti, ma in un territorio ripensato, ristrutturato, con delle capacità di gestione autonoma di tutto quello che è fragilità post-acuzie.
Un ruolo importante – prevede il prof. Bernabei -sarà giocato in questo contesto dalla tecno-assistenza; il monitoraggio a casa, sia prima di un evento acuto, che dopo, consentirà di stare a casa il più possibile. Ormai ci sono dei sistemi di tele-monitoraggio avanzatissimi. C’è la possibilità ad esempio, attraverso un unico apparecchio, di fare ECG, misurare la pressione arteriosa e la pressione arteriosa media, la pO2 e la pCO2, i valori di emoglobina. In pratica, una centralina di terapia intensiva avvolta intorno ad un dito, per un costo di 400 euro, che consente di monitorare tutti i parametri vitali e ricevere tempestivamente degli allarmi. E’ chiaro che anche alcune situazioni di tipo sociale possono determinare scompensi, ma in periodi di emergenza dobbiamo dare la precedenza alle condizioni vitali”.
Gli autori americani del lavoro su JAMA suggeriscono anche di implementare esperienze come l’ospedale a casa. Ma il Gemelli da questo punto di vista ha precorso i tempi. “Il ‘Gemelli a Casa’ – spiega il prof. Bernabei - è la possibilità di gestire gli anziani (e non solo) a domicilio a 360°, sia che si tratti di dover fare un prelievo di sangue, che di ricevere H24 una sorveglianza sanitaria attiva. E’ una formula che per la prima volta in Italia e in Europa un grande ospedale accademico ad alta specialità, come il nostro, ha messo in campo per completare la lista dei servizi che offre alla popolazione. Anche questo è uno strumento prezioso in epoca COVID e soprattutto post-COVID”.
Maria Rita Montebelli
Fonte: https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2763818
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