L’eparina non salverà il mondo dal COVID-19, ma se ben usata una mano ai pazienti la può dare
“In questo contesto ‘Covid-confuso’- scriveva qualche giorno fa su Facebook il professor Raffaele Landolfi, Ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica e direttore della UOC Clinica Medica e Malattie Vascolari della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - ogni giorno arriva la notizia di qualche spiegazione o soluzione miracolosa. L’ultima riguarda il potere salvifico dell’eparina che, per carità, farà la sua parte, ma alle giuste dosi nei pazienti giusti.
Non perché lo dice lo scienziato, il giornalista o l’opinionista improvvisato di turno, ma perché lo dicono alcuni dati, che per la verità non sorprendono più di tanto. E invece annunci su tutte le reti e, di conseguenza, corse nelle farmacie a fare scorte di eparina. Ma siamo veramente cosi disperati? L’eparina la devono prescrivere i medici seguendo le indicazioni AIFA, peraltro molto puntuali, che sono state diffuse di recente. Il resto è delirio che intristisce perché, evidentemente, stanno venendo meno spirito critico e senso della misura”.
Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza sull’argomento ‘eparina e COVID’.
I pazienti con COVID-19 hanno problemi di coagulazione
A segnalarlo, tra i primi, è stato il gruppo di NingTang, notando che alcune alterazioni della coagulazione (aumento del D-dimero) si associavano ad un maggior rischio di mortalità tra i pazienti con COVID-19. Lo stesso gruppo in una successiva pubblicazione riscontrava una consistente riduzione di mortalità a 28 giorni nei soggetti con elevazione del D-dimero e un elevato punteggio SIC (sepsisinducedcoagulopathy), trattati con eparina a basso peso molecolare (EBPM).
Le autopsie confermano che nei pazienti deceduti per COVID-19 si trovano trombi non sono a livello polmonare, ma anche nel fegato, nei reni e nel cuore. E uno studio osservazionale di un mese fa aveva individuato come fattore di rischio di mortalità un D-dimero (un esame che segnala appunto la presenza di alterazioni della coagulazione) al momento del ricovero.
“Il D-dimero alto – commenta il professor Valerio De Stefano, Professore Ordinario di Ematologia all’Università Cattolica e Direttore Area Ematologica e UOC Servizio e Day Hospital di Ematologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - è un indice di ipercoagulabilità, ma può essere anche un indice infiammatorio, quindi non necessariamente chi ha il D-dimero alto ha più trombosi. I pazienti con COVID-19 sono comunque ad aumentato rischio trombotico. E non deve stupire: l’infiammazione in generale, le infezioni dell’albero respiratorio, l’ospedalizzazionee il ricovero in terapia intensiva sono tutti fattori di rischio per trombosi. Anche i pazienti colpiti 10 anni fa da polmonite da influenza aviaria H1N1 mostravano un elevato tasso di incidenza di trombosi e anche allora si discuteva se fosse appropriato impiegare in prevenzione dosi di eparina più elevate di quelle abituali.
Il rischio di trombosi nei pazienti con COVID-19 è particolarmente elevato in quelli ricoverati in terapia intensiva: si va dal 25% delle casistiche cinesi (spesso senza profilassi eparinica), al 31% di un recente studio olandese (Klok, ThrombosisResearch), in pazienti già in profilassi eparinica”.
La profilassi antitrombotica nel trattamento del COVID-19
Oltre a contenere la replicazione virale e a spegnere l’infiammazione esuberante scatenata dal virus, è dunque necessario anche proteggere questi pazienti dai danni di una coagulazione eccessiva o abnorme. E il farmaco migliore da utilizzare a questo scopo è l’eparina. Ma a quale dosaggio?
“Posto che si è tutti d’accordo sul fatto che i pazienti con COVID-19 vadano trattati con eparina in profilassi, secondo le abituali linee-guida, trattandosi di pazienti ospedalizzati con infezione delle vie aeree – commenta il professor De Stefano - resta da capire con quale dosaggio. Le società scientifiche internazionali, come l’American Society of Hematology e l’International Society of Thrombosis and Haemostasis, raccomandano l’uso dell’eparina a dosi profilattiche standard, con criteri ispirati alla massima prudenza. Altri si stanno ponendo il problema se non sia inveceopportunoimpiegare dosaggi più alti. In alcuni ospedali lombardi, ma anche francesi e olandesi, vengono impiegate empiricamente procedure di profilassi antitrombotica con dosaggi di eparina più elevati e più frequenti (ogni 12 ore) rispetto al dosaggio abituale (ogni 24 ore) nel tentativo di ridurre il tasso di complicanze trombotiche. E anche il recente documento dell’AIFA apre uno spiraglio in questo senso, ipotizzando che i dosaggi di eparina da usare in questi soggetti possano essere più alti del normale. Ma ovviamente, come naturalmente sottolinea AIFA, nessuno ne potrà essere certo finché non sarà disponibile uno studio randomizzato tra eparina a dosi profilattiche e eparina a dosaggi più elevati che ci dimostri che i soggetti trattati con eparina a dosaggipiù elevatisiano più protetti dalle trombosi.
Ma attenzione – ammonisce l’esperto - i pazienti con COVID-19 possono presentare coagulopatia e formazione di trombosi, ma spesso hanno anche un basso livello di piastrine (il 25% dei pazienti critici nelle casistiche cinesi). Quindi non è saggio affrettarsi a somministrare in maniera indiscriminata dosi elevate di eparina; bisogna essere prudenti e adottare percorsi individuali, per minimizzare il rischio di un’emorragia. E il beneficio finale netto delle strategie di incremento di dosaggio potrà essere valutato solo calcolando il rapporto tra gli eventi trombotici evitati e l’eventuale prezzo pagato in aumento di eventi emorragici.
Da qualche giorno anche l’AIFA ha inserito le eparine a basso peso molecolare tra i farmaci utilizzabili per il trattamento dei pazienti con COVID-19, e negli utili giorni ha autorizzato l’avvio dello studio multicentrico INHIXACOVID19 su 300 pazienti che saranno reclutati presso 14 centri italiani. Lo studio utilizzerà un biosimilare di enoxaparina sodica (Inhixa) prodotto dalla TechdowPharma, filiale italiana della ShenzenHepalinkPharmaceutical Group. 200 pazienti riceveranno un dosaggio di 4.000 UI al giorno; gli altri 100 verranno trattati con 6.000, 8.000 o 10.000 UI al giorno, a seconda del peso.
“Un protocollo questo che mi lascia un po’ perplesso – afferma il professor Landolfi – perché la mono-somministrazione giornaliera di un’elevata dose di eparina non ha una sua giustificazione poiché, vista l’emivita dell’enoxaparina, si viene a creare una oscillazione importante dei livelli circolanti di eparina nel corso della giornata”.
Adeguare il dosaggio dell’eparina alle doverse fasi della malattia?
Il COVID-19 ha un decorso clinico schematizzabile in tre fasi distinte. La fase iniziale è quella caratterizzata dalla replicazione del virus all’interno delle cellule. La seconda fase è caratterizzata dalle alterazioni morfologiche (i segni della polmonite visibili alla TAC polmonare) e funzionali (il paziente comincia ad avere problemi respiratori ingravescenti) a livello polmonare, dovute sia all’effetto del virus, che alla risposta immunitaria del paziente. La terza fase, quella più critica, può essere caratterizzata dalla ‘tempesta citochinica’, cioè da un’infiammazione fuori controllo indotta dal sistema immunitario in tilt. Questo stato ‘iperinfiammatorio’ può contribuire a causare quadri di vascolopatia arteriosa e venosa a livello polmonare, con trombosi dei piccoli vasi ed evoluzione verso lesioni polmonari gravi e a volte permanenti (fibrosi polmonare). “Nei pazienti con COVID-19 – afferma il professor Landolfi - l’unico dato sul quale c’è consenso è che ci sia necessità di una protezione contro gli eventi trombotici perché questi pazienti, per le loro caratteristiche (immobilità, ospedalizzazione, infezioni respiratorie), devono ricevere la profilassi anti- trombotica come da linee guida; i pazienti che vanno in progressione di malattia e mostrano parametri infiammatori elevati possono richiedere una dose superiore di eparina; infine quelli che arrivano in terapia intensiva possono richiedere un’anti-coagulazione piena cioè ai cosiddetti dosaggi terapeutici.”
Le tante proprietà dell’eparina: anticoagulante, antinfiammatoria, proteggi-endotelio e forse anti-virale
Secondo Jecko Thachil, ematologo dell’Università di Manchester, autore di un lavoro pubblicato su Journal of thrombosis and hemostasis - una profilassi con eparina andrebbe garantita a tutti i pazienti con D-dimero elevato e in presenza dei criteri per coagulopatia indotta da sepsi (SIC). Anche perché, stando al modello dell’immuno-trombosi, esisterebbe una relazione bidirezionale tra sistema immunitario e produzione di trombina; quindi – sostiene Thachil- bloccare la trombina attraverso l’eparina potrebbe calmare la risposta infiammatoria.
Ma l’eparina – ricorda l’autore - ha varie proprietà ‘non-anticoagulanti’, la principale delle quali è la sua funzione anti-infiammatoria che esercita legandosi alle citochine infiammatorie, inibendo il richiamo dei neutrofili e la migrazione dei globuli bianchi, sequestrando le proteine di fase acuta e neutralizzando la carica positiva del fattore del complemento C5a.L’eparina insomma, oltre a prevenire le trombosi, potrebbe anche ridurre il livello dell’infiammazione. Ma questo è tutto da provare nell’uomo e potrebbe anche darsi che i dosaggi necessari per tale azione infiammatoria siano talmente elevati da produrre un rischio emorragico inaccettabile.
“In realtà – afferma il professor Landolfi – se si vuole sfruttare l’effetto anti-infiammatorio e protettivo sull’ endotelio da parte dell’eparina, allora dobbiamo discutere, di eparine non frazionate perché queste contengono glicosaminoglicani che hanno maggiori attività anti-infiammatorie e di protezione dell’endotelio. Un’eparina a basso peso molecolare come l’enoxaparina ha un contenuto nettamente inferiore di queste molecole e quindi dovrebbe avere minori capacità anti-infiammatorie mentre ha un rapporto efficacia-sicurezza superiore per quanto concerne l’effetto anti-coagulante. Ma parlare di effetti multipli, salvifici e peraltro ipotetici crea confusione, false speranze, fa correre la gente a comprare eparina ed espone molti a rischi”.
L’attivazione del sistema della coagulazione gioca un ruolo importante anche nella sindrome da distress respiratorio acuto. L’uso dell’eparina potrebbe dunque mitigare anche la coagulopatia polmonare. Una recente metanalisi ha dimostrato che l’aggiunta di eparina a basso peso molecolare entro la prima settimana dall’inizio della compromissione del quadro polmonare, riduce il rischio di mortalità a 7 giorni del 48% e quella a 28 giorni del 37%, migliorando allo stesso tempo il grado di insufficienza respiratoria (il rapporto PaO2/FiO2) di questi pazienti.
L’eparina svolgerebbe anche un ruolo di protezione dell’endotelio e potrebbe contribuire a ridurre il rischio di edema polmonare in corso di sepsi. Migliorando la disfunzione del microcircolo, potrebbe dunque ridurre il danno d’organo da questa indotto, che sembra prominente ad esempio nel caso delle complicanze cardiache indotte dal coronavirus.
Secondo studi in vitro l’eparina potrebbe addirittura inibire l’attacco del virus alle cellule, attirandolo invece su di sé. Il farmaco potrebbe dunque avere anche un effetto anti-virale. Tali studi al momento non sono ancora stati confermati e comunque questa ipotesi nell’uomo che resta tutta da dimostrare.
“Bisogna fare attenzione però. L’idea che l’eparina possa interferire con i processi di replicazione virale – commenta il professor De Stefano - al momento deriva da osservazioni in vitro non validate e per molti aspetti speculative. In altre parole, va ribadito che l’eparina non cura il COVID-19, ma può prevenire una sua complicanza, la trombosi. Affermare, come si è letto in questi giorni su qualche giornale e come ha ripreso in televisione qualche commentatore non medico - conclude il Prof. De Stefano - che tutto il problema consista semplicemente nella complicanza trombotica e che con l’eparina l’infezione COVID ‘sta diventando una malattia curabile a casa e che si potrebbe tornare alla vita normale’ accende false speranze, distorce la realtà, e fa abbassare la guardia in una maniera assolutamente irresponsabile, scellerata, e antisociale”.
I take home message e le domande ancora aperte
Insomma, l’uso dell’eparina nel COVID-19 potrebbe apportare un beneficio attraverso vari meccanismi. Che restano tuttavia tutti da dimostrare, attraverso gli studi clinici attualmente in corso, anche in Italia. Le domande ancora aperte riguardano in particolare i dosaggi da utilizzare: più alti anche in profilassi nei pazienti con D-dimero elevato al momento del ricovero? Maggiori nei pazienti obesi? Più alti nei pazienti con aggravamento dell’insufficienza respiratoria? Prendendo per buoni i risultati degli studi di laboratorio, l’eparina andrebbe utilizzata per le sue presunte proprietà anti-infiammatorie, di protezione endoteliale e di inibizione virale, a prescindere dalle sue proprietà anticoagulanti, nei pazienti con COVID-19?
Nel frattempo, un panel di esperti internazionale l’International Society on Thrombosis and Haemostasis ha raccomandato che tutti i pazienti ricoverati per COVID-19 vengano trattati con eparina a basso peso molecolare (EBPM) a dosaggio profilattico sempre che non vi siano controindicazioni (es. sanguinamenti in atto o conta piastrinica inferiore a 25.000). Viene suggerito inoltre di sottoporre tutti i pazienti con COVID-19 al dosaggio di D-dimero, tempo di protrombina e conta piastrinica al momento del ricovero e di monitorare durante il ricovero i livelli di fibrinogeno.
Maria Rita Montebelli