Oltre a farmaci e ossigeno, anche il supporto nutrizionale aiuta a superare il COVID-19
La valutazione precoce dello stato nutrizionale e un adeguato supporto nutrizionale, nei pazienti affetti da COVID-19, sono interventi fondamentali da integrare con il trattamento farmacologico e con l’ossigeno-terapia, allo scopo di diagnosticare e contrastare la malnutrizione e la sarcopenia a cui possono andare facilmente incontro questi pazienti, spesso ricoverati in terapia intensiva o in area medica, anche per lunghi periodi.
A sottolinearlo sono le stesse Società Scientifiche di riferimento (ESPEN, SINPE, SINuC) che hanno pubblicato in tempi record anche delle raccomandazioni sul tema. Raccomandazioni ampiamente recepite anche dal team dell’UOC di Nutrizione Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, che ha realizzato un apposito Poster per riassumere i punti salienti da valorizzare.
“Oltre che al Gemelli, anche tra gli specialisti del Columbus COVID 2 Hospital – ricorda il Professor Giacinto Miggiano, Direttore dell’UOC di Nutrizione Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Direttore del Centro di Ricerca in Nutrizione Umana e Professore associato di Scienze dell’Alimentazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - è presente uno dei miei nutrizionisti che tutti i giorni esegue consulenze da remoto, attraverso un contatto telefonico con i medici dei reparti Covid, per garantire il supporto nutrizionale dei pazienti ricoverati sia in area intensiva che in area di degenza medica”.
“Questi pazienti – ricorda la dottoressa Barbara Aquilanti, Medico Nutrizionista dell’Unità Operativa di Nutrizione Clinica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS - hanno spesso difficoltà di deglutizione (disfagia) e sono ricoverati a lungo. Sono allettati, astenici e inoltre non hanno accanto familiari che li possano aiutare al momento del pasto. Quindi stiamo cercando di favorire un adeguato apporto di macro e micronutrienti semplificando l’approccio nutrizionale come ad esempio modificando la consistenza degli alimenti (pasti cremosi o semisolidi) o adattando il vitto alle diverse esigenze del paziente, ovviamente sempre in considerazione delle sue comorbidità (oltre all’infezione da coronavirus il paziente può essere diabetico o avere insufficienza renale). Dove possibile cerchiamo di avere un contatto telefonico diretto con loro, attraverso i medici che li assistono in reparto. Nel parlare direttamente con il nutrizionista o con il dietista, il paziente riceve sia supporto dal punto di vista nutrizionale, ma anche quel contatto umano che in questo momento gli manca, facendolo sentire meno isolato”.
Lo Screening per la malnutrizione
Tutti i pazienti affetti da infezione da SARS-COV-2 devono essere sottoposti a screening nutrizionale entro le prime 24-48 ore dal ricovero. Anche i soggetti obesi non devono trarre in inganno perché possono comunque essere già sarcopenici (avere cioè una riduzione della massa muscolare a fronte di un’eccessiva presenza di tessuto adiposo) o andare incontro a malnutrizione proteica, con conseguente riduzione della forza muscolare e il rischio di allettamento e di indebolimento del sistema immunitario.
“In questo momento – prosegue il professor Miggiano - non riusciamo a valutare lo stato nutrizionale dei pazienti con i nostri strumenti classici (bioimpedenzometria, antropometria, misurazione delle circonferenze, ecc.), ma il medico di reparto ci comunica peso e altezza del paziente all’ingresso, il peso attuale (durante il ricovero in genere il peso di riduce) e ci segnala l’eventuale presenza di sarcopenia. Anche gli esami del sangue (come albumina e transferrina) possono aiutarci ad individuare uno stato di malnutrizione così come la valutazione dei livelli ematici dei micronutrienti (ad esempio il ferro, l’acido folico o la Vitamina D), ci consente di intervenire con supplementazioni mirate di vitamine e di oligoelementi”.
“In caso di disfagia – prosegue la dottoressa Aquilanti - la valutazione dell’otorinolaringoiatra e le prove di deglutizione ci orientano verso la necessità o meno di instaurare una Nutrizione Enterale tramite sondino nasogastrico (o nasodigiunale se necessario), che può essere effettuata anche nei pazienti in posizione prona, in quelli sottoposti a ventilazione non invasiva (CPAP, ‘casco’, ecc.) e nei pazienti intubati. Nel caso in cui la nutrizione enterale non fosse praticabile, si può ricorre alla nutrizione parenterale (quella in vena), quindi preferibilmente come ultima scelta”.
Il Poster
“Le caratteristiche cliniche dei pazienti critici con COVID-19 – spiega il professor Miggiano - evidenziano una diffusa malnutrizione, che può essere già presente all’inizio o comparire nel corso del ricovero, che è genere lungo e impegnativo. Abbiamo dunque deciso di focalizzare la nostra attenzione sulla prevenzione, sulla diagnosi di malnutrizione e naturalmente sul suo trattamento. Un semplicissimo screening ci consente di individuare i pazienti a rischio di malnutrizione; quello di riferimento per i pazienti ricoverati è il cosiddetto Nutritional Risk Screening (NRS-2002). La somma dei punti attribuiti a varie situazioni permette di individuare i pazienti a rischio che sono quelli con punteggio uguale o superiore a 3. Un paziente con polmonite parte già con un punteggio di 2; basta aggiungere un’altra condizione quale, età superiore ai 70 anni, un indice di massa corporea inferiore a 20,5, un calo ponderale superiore al 5% negli ultimi 3 mesi, la riduzione dell’apporto alimentare negli ultimi 7 giorni (che hanno tutte un punteggio di 1), per totalizzare o superare il punteggio di 3, che descrive un paziente a rischio malnutrizione”.
La Nutrizione come terapia
“Una corretta nutrizione – afferma il professor Miggiano - entra a pieno titolo nell’insieme del supporto terapeutico farmacologico perché la malnutrizione proteico-energetica comporta una perdita di massa magra (i muscoli) e di proteine viscerali (albumina, transferrina..) che sono fondamentali anche per mantenere un’adeguata funzione del sistema immunitario. Il sostegno nutrizionale aiuta inoltre a ridurre i tempi di degenza (il paziente malnutrito rischia delle sovrainfezioni), facilita la mobilizzazione, la ripresa della forza, la capacità deglutitoria e respiratoria legate ai muscoli che intervengono in questi atti. Al contrario il digiuno, a livello intestinale, provoca traslocazioni della flora batterica intestinale con aumento del rischio di infezioni; un intestino dai villi appiattiti inoltre ci porta verso un malassorbimento e dunque verso altre carenze (vitamina D, micronutrienti) fondamentali per la sintesi anche di ormoni e proteine, essenziali per la guarigione e per il recupero”.
Durante il ricovero il paziente viene più volte rivalutato, adattando la sua dieta anche in base all’eventuale comparsa di sintomi (ageusia, anosmia, diarrea, nausea, ecc.) legati al coronavirus o ai numerosi farmaci che assume. “Il paziente che presenta una riduzione dell’introito proteico-calorico (superiore comunque al 50-60 % dei suoi fabbisogni giornalieri) o che presenta segni di malnutrizione già all’ingresso deve essere monitorato ogni 2-3 giorni, ma la sua alimentazione deve anche essere integrata con supplementi nutrizionali orali mirati e assunti per un periodo di tempo adeguato (generalmente -ove possibile-ipercalorici iperproteici, per almeno 3-4 settimane). Nei pazienti che si non si alimentano o che non raggiungono un introito orale adeguato ai loro fabbisogni – conclude la dottoressa Aquilanti - si deve ricorre invece alla nutrizione enterale, che è più fisiologica e comporta minori complicanze rispetto a quella parenterale (in vena) ma che ci permette soprattutto di mantenere nei pazienti un adeguato trofismo della mucosa intestinale”.
Maria Rita Montebelli