La vita di medici e infermieri ai tempi del COVID. Protezione massima, la parola chiave

Cosa succede quando un medico torna a casa dopo aver passato la giornata (o il turno di notte) ad occuparsi di pazienti con infezione da COVID? Può veramente ancora considerarsi parte della soluzione o non è piuttosto parte del problema? E’ la domanda che si pone il professor Christian Rose dell’università di Stanford in un articolo pubblicato dal New England Journal of Medicine.
L’infezione da coronavirus è particolarmente pericolosa per gli anziani, per le persone già affette da condizioni croniche (in particolare chi già soffre di patologie respiratorie) e per gli immunocompromessi.
E può succedere che quando un medico torna a casa dal suo turno di lavori, trovi ad aspettarlo un familiare che rientra in una di queste categorie di pazienti.
I consigli per i familiari anziani o affetti da qualche patologia sono gli stessi che valgono per tutta la popolazione: resta a casa, tossisci nella piega del gomito (o in un fazzoletto di carta, da buttare via subito) e lavati spesso le mani.
Già, ma cosa succede quando un medico rientra in una casa dove convivono più generazioni, i figli insieme ai nonni?
A far paura è un dato che arriva da Wuhan: il 41% dei casi di COVID-19 è stato generato da un contagio correlato all’ospedale.
Gli operatori sanitari sono ad aumentato rischio di sviluppare questa condizione e quindi di diffondere il contagio. Lo stress accumulato in tutte quelle ore passate al capezzale dei malati o nella bolgia dei pronto soccorso può lasciare il segno e indebolire un sistema immunitario comunque esposto ad un elevato carico virale. E a farne le spese potrebbero essere non solo medici e infermieri, ma anche i loro contatti più stretti. I familiari appunto. I medici e gli infermieri, più volte in questi giorni acclamati come eroi, cominciano ad essere guardati con sospetto, come possibili ‘untori’, diffusori del contagio.
“Sono 17 gli step da seguire per effettuare una corretta ‘vestizione’ per proteggersi dal contagio – ricorda l’autore – e 11 i passi da seguire con attenzione per non contaminarsi durante la svestizione”. Ma la domanda che qualunque medico impegnato sul fronte del COVID19 oggi si pone è: “il mio impegno nei confronti della comunità può finire col mettere a rischio la mia famiglia a casa?”
E d’altra parte chi altri dovrebbe occuparsi delle tende per il triage, di rianimare le persone in insufficienza respiratoria, di gestire le unità di terapia intensiva se il personale sanitario facesse un passo indietro? Chi studierebbe le modalità di diffusione del contagio, le nuove terapie, chi svilupperebbe piani d’emergenza o gestirebbe tutte le altre patologie ‘non COVID’ (che non sono certo sparite nel nulla). Se medici e infermieri smettessero o non potessero più venire a lavorare sarebbe un disastro. Per i pazienti innanzitutto.
“Eppure – prosegue Rose – quando torno a casa ogni sera, leggo il terrore negli occhi di mia moglie”. E’ come se il pericolo contagio provenisse direttamente da dentro casa. Ci si può difendere da una minaccia esterna, restando chiusi in casa. Ma come si sopravvive allo stress e alla paura di avercelo in casa in nemico, di vederlo arrivare tutte le sere insieme ad un marito o ad una moglie medico o infermiere? “Ci stiamo comportando da irresponsabili con le nostre famiglie? - si chiede ancora l’autore, combattuto tra la voglia di tornare a casa la sera e la paura di contagiare i suoi affetti più cari. “Situazioni come quella che stiamo vivendo possono lasciare i medici incastrati tra l’impegno nei confronti della comunità e la responsabilità verso le nostre famiglie. Una terra di nessuno nella quale, un letto di scorta a casa di un collega può diventare l’approssimazione più vicina al concetto di ‘casa’ che possiamo trovare”.
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