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Curare l’infezione da COVID-19 con il plasma dei pazienti guariti. Una nuova speranza

2 Aprile 2020
Pillole Anti COVID19

Tra le varie proposte di trattamento per l’infezione da COVID-19, in questi giorni sta attirando l’interesse degli esperti quella di trattare i pazienti con il plasma dei pazienti che abbiano già superato l’infezione. Questo consentirebbe di sfruttare l’immunità sviluppata da questi ultimi contro il virus (le cosiddette immunoglobuline, cioè gli anticorpi diretti contro il virus) per trattare e scongiurare il peggioramento delle condizioni dei pazienti con infezione in fase attiva.

Qualche giorno fa la Food and Drug Administration (FDA), l’autorità regolatoria americana, ha approvato l’impiego di plasma da convalescenti, per il trattamento di pazienti critici con infezione da COVID-19. L’annuncio è stato dato dal governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo ed è dunque subito scattato il reclutamento delle persone che hanno già superato la malattia, a cominciare dai quartieri di New York più duramente colpiti dalla pandemia. I primi trattamenti ‘al plasma’ inizieranno questa settimana.

Le infusioni di plasma da convalescenti sono un metodo già utilizzato in passato per trattare una serie di malattie, dalla poliomielite, al morbillo, alla parotite, fino ad arrivare all’Ebola, alla SARS e alla Mers e autorizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il plasma dei convalescenti contiene infatti degli anticorpi, che potrebbero rivelarsi preziosi nel combattere l’infezione da COVID-19. Ma per dire se questo risponde al vero, bisognerà aspettare il risultato dei trial clinici.

Il protocollo dell’FDA (https://www.fda.gov/vaccines-blood-biologics/investigational-new-drug-ind-or-device-exemption-ide-process-cber/investigational-covid-19-convalescent-plasma-emergency-inds) prevede la raccolta di plasma da pazienti guariti, in grado di donare sangue, che siano asintomatici da almeno 14 giorni e con i test del COVID negativizzati. Il trattamento per ora è riservato a pazienti ‘gravi’ (dispnea, ≥ 30 atti respiratori al minuto, saturazione di ossigeno ≤ 93%, infiltrati polmonari il oltre metà del parenchima) o ‘in immediato pericolo di vita’ (insufficienza respiratoria acuta, shock settico, disfunzione o insufficienza di diversi organi). I medici possono chiedere all’FDA l’autorizzazione ad effettuare il trattamento, chiamando un numero appositamente predisposto e ricevono l’Ok entro 4-8 ore.

Anche in Italia ci si sta attrezzando in tal senso e nei giorni scorsi è partita la raccolta di plasma secondo il cosiddetto protocollo “San Matteo” (un protocollo siglato da varie ASST lombarde, con capofila il policlinico San Matteo di Pavia). Possono diventare donatori i pazienti guariti che presentino elevati livelli di anticorpi contro il coronavirus nel plasma.

In modo analogo, anche la Gran Bretagna (2 trial clinici sono sottomessi al National Institute for Health Research dal prof. David Tappin, University di Glasgow) si sta muovendo per infondere plasma prelevato da pazienti ‘iperimmuni’, guariti dall’infezione. Sarà destinato a pazienti COVID ricoverati per polmonite, nella speranza di risparmiare loro il ricovero in terapia intensiva e di migliorare le condizioni di quelli con malattia in forma grave, così da ridurne la mortalità.

Nel frattempo è partita una collaborazione tra 100 laboratori americani e inglesi per produrre plasma da convalescenti. Il prof. Arturo Casadevall della Johns Hopkins University (Usa) ritiene che la somministrazione di anticorpi potrebbe risultare più efficace se effettuata in fase precoce, in modo da spazzare via il virus, prima che possa far danno. La protezione conferita dal plasma di convalescenti contro il virus potrebbe durare per diverse settimane.

Negli ultimi giorni infine anche il San Gallicano e il Regina Elena di Roma hanno proposto una sperimentazione su plasma di pazienti convalescenti, sia per la prevenzione che per il trattamento dell’infezione da COVID-19. L’idea è quella di organizzare in Italia un percorso coordinato che coinvolga centri trasfusionali, ospedali e aziende specializzate per la produzione di plasmi iperimmuni in una sperimentazione clinica multicentrica, per verificare il grado di questo trattamento.

Uno studio cinese di Shen e colleghi su 5 pazienti pubblicato su JAMA qualche giorno fa evidenzia un effetto protettivo del plasma rispetto al ricovero in rianimazione e alla ventilazione meccanica (intubazione). Secondo gli autori potrebbe essere dunque un approccio utile nel trattamento dei pazienti critici con infezione da COVID-19 e ARDS, ma va valutato nell’ambito di trial clinici.

professoressa Simona Sica

“Sicuramente – commenta la professoressa Simona Sica, Direttore della UOC di Ematologia e Trapianti di cellule staminali della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore associato di Ematologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma - c’è un grosso interesse sull’utilizzo del plasma da individui che hanno superato l’infezione. Questo trattamento è già stato utilizzato in passato per altre infezioni; risulta dunque molto interessante il fatto di poter utilizzare il plasma di pazienti che hanno superato l’infezione attiva e che hanno sviluppato un’immunizzazione verso il SARS CoV-2. Questa possibilità è stata vagliata all’estero dall’FDA che le ha dedicato un protocollo IND (Investigational New Drug); questo rende immediatamente possibile l’utilizzo di plasma da donatori che abbiano anticorpi specifici. Rimane il problema, dal punto di vista pratico, della determinazione degli anticorpi anti-Sars Cov-2. Inoltre va tenuto presente anche il problema della cross-reattività con altri ceppi di SARS e di coronavirus. Come anche è importante il titolo anticorpale che questi pazienti guariti possono sviluppare, perché l’efficacia del plasma potrebbe variare anche in relazione al titolo degli anticorpi che contiene e che verrebbero passivamente trasfusi da un donatore ad un paziente. Il Centro Nazionale Sangue che abbiamo contattato questa mattina indica che c’è un interesse ad avviare un protocollo che preveda questo tipo di trattamento. Ma bisogna fare i conti con la nostra capacità in questo momento di vagliare e titolare gli anticorpi presenti nel sangue del convalescenti”.

L’interesse intorno all’argomento è molto forte anche per i suoi risvolti commerciali; alcune aziende farmaceutiche sarebbero già pronte a produrre preparati di immunoglobuline iperimmuni contro il coronavirus.

Maria Rita Montebelli

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