Una borsa di studio per la neurochirurgia intitolata a una mamma che non c’è più

L’iniziativa benefica della famiglia Procopio per ricordare la signora Simona
Affrontare il dolore, anche quello terribile della perdita di una mamma e di una moglie, e trasformarlo in una speranza di cura per chi verrà dopo. È questa la sfida vinta dalla famiglia Procopio che, all’indomani della perdita della signora Simona, scomparsa lo scorso autunno per un tumore cerebrale, ha deciso di avviare una raccolta fondi per finanziare una borsa di studio per la neurochirurgia. “Sono sempre stato contrario ai fiori nei riti funebri – afferma Il signor Max Procopio -. Per questo abbiamo deciso di prendere questa iniziativa, sostenuti da un gruppo di persone accomunate da una caratteristica comune: generare e trasmettere energia positiva. Quella stessa energia che ci ha supportato e ci ha aiutato a rimanere lucidi in questi giorni terribili. Da queste riflessioni è partita l’idea di una ‘colletta’ a favore della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, dove abbiamo trovato accoglienza e ascolto, oltre che competenza e professionalità”. “La nostra iniziativa – afferma commosso Giulio Procopio, figlio della signora Simona – può fare la differenza, come aveva sottolineato il professor Alessandro Olivi nel corso del nostro primo incontro. Un concetto che mamma e papà ci hanno trasmesso da sempre. Questa raccolta fondi mi ha regalato un senso di compiutezza e di gratitudine. In questo modo garantiremo la possibilità di studiare a giovani meritevoli che aiuteranno a salvare altri pazienti. E per la nostra famiglia significa portare avanti il ricordo di mia madre, attraverso gli insegnamenti che ci ha dato”. Assente giustificato Valerio, il secondo figlio della famiglia che, impegnato in Spagna per ragioni di studio, non ha potuto essere presente all’incontro.
Un’idea che ha avuto un successo inaspettato: in poche settimane sono stati raccolti oltre 25 mila euro che adesso serviranno a finanziare una borsa di studio per un giovane ricercatore in neurochirurgia. La strada per arrivare a una cura per il glioblastoma è ancora lunga, ma quest’atto di generosità, condivisa da tanti, aiuterà a percorrere un tratto di strada nella giusta direzione.
“Il trattamento dei tumori aggressivi cerebrali, come il glioblastoma multiforme – ricorda il professor Alessandro Olivi, Direttore della UOC di Neurochirurgia di Fondazione Policlinico Gemelli e ordinario di neurochirurgia all’Università Cattolica – è oggi una delle sfide maggiori della neurochirurgia. Siamo dunque molto grati a questa famiglia, colpita da vicino da questa patologia, che ha deciso di sostenerci con la sua generosità. Queste malattie oggi non sono curabili, ma sono trattabili. È un nostro dovere continuare a ricercare soluzioni di trattamento migliori, restando allo stesso tempo al fianco di famiglie come quella del dottor Procopio, nella fragilità di questo periodo di sofferenza”.
Una storia quella famiglia Procopio, gemellata con un’altra che viene da oltreoceano. Al partecipato e intenso incontro svolto nei giorni scorsi presso il Gemelli per raccontare questa commovente esperienza di dolore e di speranza era presente infatti l’avvocato Gina Gentili, moglie del compianto professor Fred (Manfredo) Gentili, celebre neurochirurgo dell’Università di Toronto e mentore di tanti specialisti, come il professor Francesco Doglietto neurochirurgo del Gemelli e associato di neurochirurgia all’Università Cattolica,che ha trascorso un periodo di studio (fellowship in Neuro-Oncologia e chirurgia della Base del Cranio) presso la sua istituzione.
Per un amaro scherzo del destino, il professor Gentili, originario di Sarnano, un paesino delle Marche e uno dei maggiori esperti internazionali nel trattamento del glioblastoma, è rimasto lui stesso vittima di questo tumore. Gina Gentili, che è stata al fianco del marito fino alla fine, ha deciso di mettere la sua esperienza al servizio di altre persone, scrivendo dei libri e tenendo delle conferenze sul ruolo del caregiver. “Tengo moltissimo a questo argomento – esordisce Gina Gentili – una donna di fiera eleganza, dallo sguardo penetrante e deciso che si vela di lacrime nel ricordo del compagno di una vita. Il nostro è stato un percorso molto difficile, per questo ho deciso di condividere la mia esperienza e gli insegnamenti ricavati”. Terribile nel ricordo di Gina la telefonata fattale dal marito per comunicarle la diagnosi. “È stato Fred stesso a darmi la notizia, a dirmi che si trovava in pronto soccorso perché aveva avuto un malore e ‘non mi crederai Gina, ma mi hanno trovato due masse nel cervello’. Mi è mancata la terra sotto i piedi ma ho raccolto le forze e le energie pensando al momento in cui c’eravamo incontrati e avevamo deciso di costruire una vita insieme. Anche adesso dovevo camminare al suo fianco. Un passo dopo l’altro, durante tutto il ‘viaggio’ del glioblastoma. Dando la priorità a tutto ciò che lui avrebbe desiderato come trattamento”. È crudele e spesso impossibile riuscire a contenere da soli un dolore così grande e continuare a funzionare. Fondamentale è ricevere supporto psicologico, soprattutto in uno snodo importante della malattia, come la diagnosi. “Ho cercato di salvaguardare quanto più possibile la normalità nella nostra vita – continua Gina Gentili -. Ma è molto importante ricevere subito un supporto psicologico. Per il paziente, la cui esistenza è stata segnata per sempre dalla diagnosi, che nel caso di Fred ha cambiato la sua identità da medico a paziente. E per la famiglia che vede il proprio caro cambiare giorno dopo giorno per la malattia e per l’intrusività delle cure. Il caregiver ha bisogno di spazi, di tempo, di psicologi dedicati per poter esternare le sue paure, le sue ansie e continuare a vivere e a stare accanto al paziente”.
“Dobbiamo comprendere meglio l’impatto di questa malattia sulle famiglie – afferma Gelareh Zadeh, la neurochirurga allieva del professor Gentili che ha avuto l’onore e l’onere di operare il suo maestro – attraverso una conoscenza ‘granulare’ dei vuoti di assistenza; e la patient advocacy aiuta a riempire questi ‘buchi’, per evitare a paziente e caregiver le montagne russe psicologiche di questo periodo difficile. La cura del glioblastoma, non ancora a portata di mano, verrà probabilmente dalla biologia molecolare, più che dalla chirurgia. Ma è necessario continuare a fare ricerca”.
“Il Gemelli – ricorda la professoressa Daniela Chieffo, direttrice della UOS di Psicologia Clinica del Policlinico e docente di psicologia all’Università Cattolica – è da sempre molto attento agli aspetti psicologici: prima la persona, poi la cura. Le persone vanno considerate nella loro interezza, per non spezzare il ciclo della vita, in un prima e un dopo l’intervento. E l’approccio psicologico, come quello delle cure, deve essere offerto con una personalizzazione ‘sartoriale’. Il paziente può sentirsi perduto davanti alla malattia; per questo caregiver e amici devono sostenerlo, ma spesso non hanno gli strumenti per farlo. Coniugi, figli, nipoti (i cosiddetti ‘utenti bianchi) ci chiedono ‘cosa possiamo fare’? ‘Cosa verrà dopo?’. È compito nostro farli sentire presi per mano e indirizzarli verso le loro risorse, per aiutarli a sostenere un dolore così forte. Chi non è capace di chiedere aiuto purtroppo si aliena nella sofferenza. La malattia è un ‘fermo-immagine’, ma è importante che quella immagine riprenda colore e definizione e torni a muoversi. Molto importante è anche il sostegno che può venire da altre famiglie che riescono a reagire”.
Tutti posso partecipare e sostenere l’attività di ricerca dell’Ospedale donando sul sito donaora.policlinicogemelli.it. Per info 06.30158282 o insieme@policlinicogemelli.it
Maria Rita Montebelli