Trattare i disturbi da alcol negli homeless non è una mission impossible

Pubblicati su “Alcohol and Alcoholism”, rivista ufficiale della European Society for Biomedical Research on Alcoholism, i risultati dello studio di uscita dall’alcolismo sulle persone senza fissa dimora condotto dal gruppo di specialisti del Gemelli coordinati dai professori Giovanni Addolorato e Antonio Gasbarrini. L’esperienza condotta con gli ospiti della Villetta della Misericordia.
Monsignor Nunzio Galantino: “Una sfida vinta contro la cultura dello scarto. I risultati ottenuti rappresentano un valore aggiunto per tutti”.
Tanti e sotto gli occhi di tutti, eppure invisibili, perché è più facile girarsi dall’altra parte. Sono gli homeless, le persone senza fissa dimora, che popolano le stazioni di tutto il mondo, le panchine dei parchi, le sedie nelle sale d’attesa del pronto soccorso, gli angoli delle strade, dove chiedono con discrezione qualche centesimo. E spesso non per mangiare, ma per comprare un cartone di vino a poco prezzo o una birra con cui dimenticare per qualche minuto la loro realtà sospesa nel vuoto. Ultimi degli ultimi, anche perché nessuno dà loro una chance di riabilitarsi e di integrarsi. Anche se le potenzialità ci sono tutte. E lo dimostra uno studio condotto dal gruppo del professor Giovanni Addolorato, responsabile dell’Unità di Medicina Interna e Patologie Alcol-Correlate, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, associato di Gastroenterologia all'Università Cattolica, campus di Roma, che opera all’interno del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche del Gemelli, diretto dal professor Antonio Gasbarrini, ordinario di Medicina interna all'Università Cattolica, appena pubblicato su Alcohol and Alcoholism, rivista ufficiale della European Society for Biomedical Research on Alcoholism, titolo “Make Mission Impossible Feasible:The Experience of a Multidisciplinary Team Providing Treatment for Alcohol Use Disorder to Homeless Individuals”. Si tratta di un piccolo studio proof of concept, prezioso per quello che ha dimostrato e unico nel suo genere.
Gli ospiti della Villetta della MisericordiaGiovanni Addolorato con la sua equipe Giovanni Addolorato e la sua equipe Antonio Gasbarrini
La mission apparente impossibile di trattare i disturbi da alcol negli homeless è invece fattibilissima e fino a oggi non esistevano dati in letteratura sull’argomento in questa popolazione. “Il progetto di lavorare con i pazienti più fragili, quelli senza fissa dimora – ricorda il professor Addolorato - parte da lontano quando, in occasione dell’apertura della Villetta della Misercordia, Gianna Iasilli, dipendente del Gemelli e volontaria della Comunità di Sant’Egidio, nonché responsabile di questa struttura, nata dalla collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio, il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto Toniolo di Studi Superiori, venne a chiedermi una mano come medico per aiutare queste persone che, tra i tanti problemi, hanno anche quello dell’abuso di alcol. Abbiamo aderito subito all’iniziativa, anche se avevamo qualche dubbio sul reale impatto che il trattamento avrebbe potuto avere su persone che vivevano per strada. Abbiamo però sentito l’obbligo morale di provarci, anche perché questo è parte della mission del Gemelli, un ospedale ‘diverso’, con un ruolo aggiuntivo e un valore aggiunto, quello di farci carico delle persone più fragili. E il Direttore Generale del Gemelli Marco Elefanti non ha avuto esitazioni nell’appoggiare pienamente questo progetto.” Un progetto senza pregiudizi insomma, come dimostra anche la sezione ‘materiali e metodi’ del lavoro: la voce ‘criteri d’esclusione’ è vuota. C’è stato spazio per tutti in questo studio, a prescindere da età, genere, credo religioso. Per la prima parte del trattamento, i pazienti arruolati nello studio venivano ricoverati in reparto, per gestire meglio la fase acuta, sottoporli a esami per quantificare i danni fatti dall’alcol, trattare la sindrome d’astinenza e le patologie alcol-correlate. Alla dimissione, alcuni di loro sono stati accolti nella Villetta, mentre agli altri sono state offerte delle soluzioni abitative alternative. Tutti sono stati quindi seguiti in ambulatorio per circa un anno. “E i risultati di questo esperimento medico-sociale rimuovono il pregiudizio - afferma il professor Addolorato – che queste persone non siano recuperabili; una quota importante di questi pazienti, infatti, è riuscita a ridurre in maniera significativa l’abuso di alcol. Questo studio, ora pubblicato su una rivista scientifica internazionale, toglie dunque qualsiasi alibi a chi ritenga che trattare un disturbo di abuso di alcol in un homeless sia un’utopia. Abbiamo dimostrato non solo che è fattibile, ma che ha un impatto davvero importante perché, a parità di quantità di alcol assunta, un paziente che vive per strada, muore di più. È chiaro che questo modello per poter funzionare deve avvalersi dell’operato degli assistenti sociali (prezioso al riguardo è stato il lavoro di Desirée Longo) oltre che delle Associazioni di volontariato (insostituibile l’attività dei volontari della Comunità di Sant’Egidio). Queste persone infatti, oltre a essere curate, vanno reintegrate, da un punto di vista lavorativo e abitativo. E la maggior parte dei nostri pazienti ha trovato sia una casa, che un lavoro. Insomma, abbiamo dato loro la possibilità di iniziare una nuova vita e di riprendersi la propria dignità di uomini e donne”. Molti di questi pazienti avevano trovato un porto sicuro nella Villetta, non solo un posto dove dormire, ma una struttura che poteva permettere loro di ricostruirsi e iniziare una nuova vita. “Le persone sulle quali abbiamo avuto maggior impatto – ricorda il professor Addolorato - sono quelle che accettavano di andare a dormire nella Villetta o in altre soluzioni abitative (roulotte o prefabbricati), piuttosto che continuare a stare per strada. Ma anche sugli altri abbiamo registrato un miglioramento. Alla luce dei risultati ottenuti insomma, possiamo oggi dire che non è etico che questi pazienti siano discriminati nell’accesso alle cure; escluderli dall’assistenza per il preconcetto che non si otterranno risultati è ormai inaccettabile. In futuro – conclude il professor Addolorato - continueremo a seguire questi pazienti perché fa parte della nostra missione di medici occuparci della fragilità delle persone. E un homeless riassume in sé tutte le fragilità del mondo. Non dimenticherò mai Tudor, il primo paziente che ho valutato; alla mia richiesta di stendersi sul lettino per la visita, si è mostrato sorpreso, quasi incredulo, perché ‘a me sono anni che non mi tocca più nessuno’. La grande difficoltà di questo ambulatorio è proprio questa; non tanto la gestione delle patologie, quanto il carico emotivo che ci viene trasmesso da questi pazienti e dalle loro storie. Queste persone sono come Atlante: sulle loro spalle grava tutto il peso del mondo e la sua parte più brutta in particolare, quella delle guerre, della fame, della violenza, del fallimento”. “Il nostro Dipartimento ha voluto fortemente sostenere questo progetto – afferma il professor Gasbarrini, Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica, campus di Roma - in quanto sappiamo bene quanto l’alcolismo sia solo il sintomo di profonde sofferenze interiori che, se non risolte, non porteranno mai una possibilità di cura efficace. Tra le mille sfide ipertecnologiche che vinciamo ogni anno nessuna ci ha dato più soddisfazione di questa e siamo fieri di averci creduto da subito. La rotta è stata tracciata. Ora dobbiamo percorrerla coinvolgendo sopratutto studenti e specializzandi, i medici del futuro che dovranno avere quel quid in più, segno distintivo dei medici della Cattolica”.
Monsignor Nunzio Galantino (Presidente APSA): “Una sfida vinta contro la cultura dello scarto. I risultati ottenuti rappresentano un valore aggiunto per tutti”.
“Intervenendo, il 20 giugno 2017, all’inaugurazione dell’Unità di Medicina interna e Patologie Alcol - Correlate del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS ricordavo che ‘scegliere di prendersi cura di volti per lo più sfigurati dall’uso di alcol e di storie delle quali non salveresti nulla, vuol dire credere che quei volti possono tornare a essere guardabili e possono riprendere a trasmettere messaggi ed emozioni; vuol dire che le trame di quelle storie possono tornare ad avere un senso’ – ha dichiarato S.E. Monsignor Nunzio Galantino, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Lo studio pubblicato dal gruppo del professor Giovanni Addolorato, dopo tre anni, dimostra che - quello che poteva sembrare l’auspicio di un inguaribile ottimista o essere solo il segno della fiducia riposta in donne, uomini e strutture che interpretano in maniera competente e appassionata la loro mission – è invece possibile. Possibile grazie alla sfida accettata in un clima socio- culturale, come il nostro, sempre più incline a creare ‘scarti’ e a disfarsi senza scrupoli di ciò che non risponde a canoni condivisi. I risultati ottenuti, documentati scientificamente e riconosciuti rappresentano un valore aggiunto per tutti. Intanto, perché tolgono ogni alibi al perbenismo di chi continua a dire che ‘con alcune categorie di persone non c’è niente da fare!’ Esaltano il valore della gratuità, poco o per niente quotata nella borsa dei valori correnti. E poi, i risultati raggiunti da quanti operano dentro e intorno alla ‘Villetta della Misericordia’ possono rendere migliore anche la nobile struttura che ospita l’esperienza di cura resa agli homeless. Sì! Perché il contatto con le fragilità e il piegarsi con amore gratuito sulla ‘carne sofferente di Cristo’ – quando vengono vissuti in maniera consapevole e partecipe – sono in grado di guarire o almeno di ridimensionare pretese, arroganze e controversie pretestuose”.
di Maria Rita Montebelli