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Su The Lancet Diabetes & Endocrinology un’importante revisione alla diagnosi di obesità

15 Gennaio 2025
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Una Commissione globale ha pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology, con l’endorsement di oltre 75 associazioni mediche a livello mondiale [1] un nuovo approccio, con più sfumature per la diagnosi di obesità, basato su altre misure di eccesso di grasso corporeo in aggiunta all’indice di massa corporea (BMI) e segni e sintomi oggettivi di cattiva salute a livello individuale.

La proposta è intesa ad affrontare i limiti della definizione e della diagnosi tradizionale di obesità che ostacolano la pratica clinica e le politiche sanitarie, facendo sì che le persone con obesità non ricevano i trattamenti di cui hanno bisogno. Fornendo una cornice medica coerente per la diagnosi di patologia, la Commissione si augura anche di ricomporre l’attuale disputa circa l’idea di obesità come malattia, che è stata al centro di uno dei dibattiti più controversi e polarizzanti della medicina moderna.

Il presidente della Commissione, il professor Francesco Rubino del King’s College di Londra (GB) afferma: “La questione del se l’obesità sia una malattia è fallace perché presuppone uno scenario non plausibile del tipo ‘tutto – o – nulla’, nel quale l’obesità rappresenti sempre una malattia o mai. Le evidenze scientifiche tuttavia raccontano una realtà molto più sfumata. Alcuni individui con obesità possono mantenere una normale funzione d’organo e un buono stato di salute globale, anche a lungo termine; mentre altri mostrano segni e sintomi di malattia grave qui e adesso.

Considerando l’obesità solo come un fattore di rischio e mai come una patologia, può portare immeritatamente a negare l’accesso a terapie tempestive a soggetti in cattiva salute per motivi riconducibili alla sola obesità. D’altra parte, una definizione ampia di obesità come patologia può sfociare in un eccesso di diagnosi e nell’uso inappropriato di farmaci e procedure chirurgiche, con danno potenziale agli individui e costi impressionanti per la società. La nostra riformulazione riconosce la realtà sfumata dell’obesità e permette un trattamento personalizzato. Questo comprende un accesso tempestivo ai trattamenti basati sull’evidenza per gli individio con obesità clinica, come si conviene per le persone affette da qualche forma di patologia cronica, come anche strategie di trattamento per la riduzione di rischio per le persone con obesità pre-clinica, che presentano un rischio aumentato, ma senza patologie concomitanti. Questo potrà facilitare una riallocazione razionale delle risorse sanitarie e una prioritizzazione giusta e significativa dal punto di vista medico delle opzioni terapeutiche disponibili”.

Con la stima di oltre un miliardo di persone con obesità nel mondo [2], la proposta della Commissione fornisce un’opportunità ai servizi sanitari di adottare una definizione di obesità universale e clinicamente rilevante e una metodologia di diagnostica più accurata.

"Riconoscere l'obesità come una malattia, in particolare l'obesità clinica, ossia quella accompagnata da segni e sintomi specifici, - spiega la professoressa Geltrude Mingrone, associata di Medicina interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttrice UOC Patologie dell’Obesità del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS - consentirà di ridurre lo stigma associato a questa condizione tra il pubblico, i medici e i decisori politici. Questo è un passo fondamentale per definire i livelli essenziali di assistenza (LEA) e garantire un trattamento adeguato di questa patologia".

Gli attuali approcci per la diagnosi di obesità sono inefficaci

È in corso un dibattito tra medici e rappresentanti delle istituzioni politiche sull’attuale approccio diagnostico all’obesità, che si presta ad un’errata classificazione dell’eccesso di grasso corporeo e ad un’errata diagnosi della patologia.

Parte del problema sta nel fatto che al momento l’obesità viene attualmente definita sulla base del BMI: un BMI superiore a 30 Kg/m2 è considerato un indicatore di obesità per i soggetti di discendenza europea. Vengono utilizzati anche diversi cutoff, specifici per nazione, per rendere conto della variabilità etnica del rischio correlato all’obesità.

Sebbene il BMI sia utile per individuare soggetti ad aumentato rischio di patologie, la Commissione sottolinea il fatto che il BMI non è una misura diretta del tessuto adiposo, non riflette la sua distribuzione corporea e non fornisce informazioni su salute o patologia a livello del singolo individuo.

“Basarsi solo sul BMI per diagnosticare l’obesità può rappresentare un problema perché alcune persone tendono a immagazzinare grasso in eccesso a livello del punto vita e all’interno o intorno i loro organi, come il fegato, il cuore o i muscoli; questi si associa ad un maggior rischio per la salute rispetto a quando il grasso in eccesso è localizzato solo sottocute, a livello delle braccia, delle gambe o in altre aree corporee. Ma le persone con un eccesso di tessuto adiposo non sempre presentano un BMI che li faccia riconoscere come individui con obesità, e questo significa che i loro problemi di salute possono sfuggire. Inoltre alcune persone con elevato BMI e alto contenuto di grasso corporeo possono mantenere una normale funzionalità degli organi e dell’organismo, senza segni o sintomi di patologie concomitanti – afferma il componente della Commissione, professor Robert Eckel, Anschutz Medical Campus dell’Università del Colorado (USA).”

Oltre il BMI

Pur riconoscendo l’utilità del BMI come strumento di screening per individuare le persone potenzialmente con obesità, gli autori raccomandano di prendere le distanze dal diagnosticare l’obesità basandosi solo sul BMI. Raccomandano invece di confermare la presenza di una massa adiposa in eccesso (obesità) e di studiare la sua distribuzione corporea usando uno dei metodi seguenti:

  • Almeno una misurazione corporea (circonferenza vita, rapporto vita-anche o vita-altezza) in aggiunta al BMI
  • Almeno due misurazioni corporee (circonferenza vita, rapporto vita-anche o vita-altezza), a prescindere dal BMI
  • Misurazione diretta del tessuto adiposo corporeo (attraverso la DEXA o scansione della densitometria ossea), a prescindere dal BMI
  • Nelle persone con BMI molto alto (es. > 40 Kg/m2) si può presumere in modo empirico la presenza di un eccesso di grasso corporeo.

Due nuove categorie di obesità: ‘obesità clinica’ e ‘obesità pre-clinica’

La Commissione fornisce anche un nuovo modello per la diagnosi di malattia nell’obesità, basato su misure oggettive di patologia a livello individuale.

L’obesità clinica viene definita come una condizione di obesità associata a segni e/o sintomi oggetti di ridotta funzione d’organo o con una capacità significativamente ridotta di svolgere le normali attività della vita quotidiana (farsi il bagno, vestirsi, mangiare e la continenza), riconducibile direttamente al grasso corporeo in eccesso. Le persone con obesità clinica andrebbero considerate come soggetti affetti da una patologia cronica e ricevere un’appropriata gestione e trattamenti.

La Commissione fissa 18 criteri diagnostici per l’obesità clinica negli adulti (vedi appendice, figura 1) e 13 criteri specifici per bambini e adolescenti (vedi appendice, figura 2), comprendenti:

  • Dispnea (affanno) dovuta agli effetti dell’obesità sui polmoni
  • Insufficienza cardiaca indotta dall’obesità
  • Dolore al ginocchio o alle anche, con rigidità articolare, e ridotto range di movimento come effetto diretto di un eccesso di grasso corporeo a livello delle articolazioni
  • Alcune alterazioni delle ossa e articolazioni nei bambini e negli adolescenti in grado di limitare i movimenti
  • Altri segni e sintomi causati da disfunzioni a livello di altri organi, compresi reni, vie respiratorie superiori, organi metabolici, sistema nervoso, urinario e riproduttivo e sistema linfatico degli arti inferiori

L’obesità pre-clinica è una condizione di obesità in presenza di una normale funzione degli organi. le persone che vivono con obesità pre-clinica quindi non hanno patologie concomitanti, sebbene abbiamo un rischio variabile ma in generale aumentato di sviluppare obesità clinica e varie altre malattie non trasmissibili in futuro, compresi diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcune forme di tumori e di patologie mentali, tra le altre. Come tali, dovrebbero essere supportate per ridurre il rischio di patologie potenziali.

Le persone che vivono con obesità hanno bisogno di una presa in carico personalizzata

La riformulazione della definizione di obesità operata dalla Commissione è mirata ad assicurare che tutte le persone che vivono con obesità ricevano adeguati consigli di salute e trattamenti basati sulle evidenze, quando necessari, con diverse strategie per l’obesità clinica e l’obesità pre-clinica.

Le persone con obesità dovrebbero ricevere trattamenti evidence-based tempestivi allo scopo di recuperare del tutto o di migliorare le funzionalità corporee ridotte dall’eccesso di grasso, piuttosto che limitarsi alla sola perdita di peso. Il tipo di trattamento e gestione dell’obesità clinica – stile di vita, farmaci, chirurgia, ecc. – dovrebbe essere scelto sulla base del rischio individuale, valutandone i benefici e individuandolo dopo un’attiva conversazione con il paziente.

Le assicurazioni sanitarie in tutto il mondo spesso richiedono la documentazione della presenza di altre condizioni associate all’obesità (es. diabete di tipo 2) per accordare la copertura delle terapie per l’obesità. In quanto patologia cronica di per sé, l’obesità clinica non dovrebbe aver bisogno della rpesenza di altre patologie per giustificare la copertura.

Le persone che vivono con obesità pre-clinica sono a rischio di malattie future ma non presentano al momento complicanze dovute all’eccesso di grasso corporeo. Di conseguenza, l’approccio alla loro presa in carico dovrebbe mirare ad una riduzione del rischio. A seconda del livello individuale di rischio, questo potrà richiedere il solo counselling e monitoraggio nel tempo o l’instaurazione di un trattamento attivo, se necessario per ridurre in maniera sostanziale l’elevato livello di rischio.

“Questo approccio sfumato all’obesità, consentirà un approccio evidence-based e personalizzato alla prevenzione, alla gestione e al trattamento degli adulti e dei bambini con obesità, consentendo loro di ricevere una presa in carico più appropriata, commisurata alle loro necessità. Questo consentirà anche di risparmiare risorse sanitarie, riducendo il tasso di sovradiagnosi e di trattamenti non necessari – afferma la Professoressa Louise Baur, University of Sydney (Australia), componente della Commissione”.

La Commissione ha coinvolto 56 esperti mondiali di un’ampia gamma di specialità mediche, comprese endocrinologia, medicina interna, chirurgia, biologia, dietologia e salute pubblica, in rappresnetanza di diverse nazionali e servizi sanitari. La Commissione comprendeva anche persone con obesità e ha considerato in maniera specifica il potenziale impatto delle nuove definizioni di obesità sul diffusissimo stigma della società.

“Gli studi dimostrano che il modo in cui si parla di obesità può contribuire allo stigma legato al peso, rendendola così più difficile da prevenire, gestire e trattare. L’approccio proposto dalla Commissione può contribuire a fugare le convinzioni errate e a ridurre lo stigma. È urgente anche un migliore formazione degli operatori sanitari e dei decisori politici per affrontare questa questione – afferma Joe Nadglowski, rappresentante dei pazienti di Obesity Action Coalition (USA) e componente della Commissione -.”

[1] Per la lista completa delle organizzazioni mediche che appoggiano la Commissione, si prega di fare riferimento all’appendice del rapporto.

[2] https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(23)02750-2/fulltext

Maria Rita Montebelli

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