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In viaggio su autostrade e sentieri neurali alla scoperta di cure alle malattie del cervello. È la nuova frontiera del connettoma, il ‘google map’ cerebrale.

28 Novembre 2016

Scienziati di tutto il mondo in viaggio su autostrade e sentieri tortuosi nel cervello umano per capire come sono connesse tra loro le diverse aree neurali e riuscire attraverso lo studio e, in futuro, la ‘manipolazione’ di sofisticate mappe neurali a sconfiggere malattie che colpiscono oggi nel mondo milioni di persone, dall’ictus all’Alzheimer, al Parkinson.

È per presentare gli ultimi aggiornamenti nel campo della ricerca sul ‘connettoma’, le intricate connessioni neurali che permettono al cervello di funzionare, che oggi e domani si svolge presso l’Università Cattolica di Roma il Meeting internazionale "Updates on Human Brain Connectome: from Physiology to Diseases" (28 - 29 novembre 2016 Centro Congressi Europa – Sala Italia).

“La conferenza”, spiega il professor Paolo Maria Rossini, direttore dell'Istituto di Neurologia dell'Università Cattolica - Policlinico Agostino Gemelli di Roma, “vede riuniti i massimi esperti italiani e mondiali del settore per confrontarsi su un tema – quello della connettività neurale – sempre più in prima linea nella maggioranza degli studi sul cervello”.

“Per connettività cerebrale”, prosegue il professor Rossini, “si intendono le vie di comunicazione tra neuroni e gruppi di neuroni (diverse aree neurali). La connettività studia la topografia e l’organizzazione di questi collegamenti che sono dinamici, cioè cambiano istante per istante per permettere il collegamento di due o più gruppi neuronali necessari per eseguire un determinato compito (motorio, sensitivo, emozionale, di memorizzazione). Questi collegamenti cambiano quindi la loro topografia e le loro caratteristiche con una velocità stratosferica misurabile in millesimi di secondo. Ovviamente, l’esperienza, il training e l’apprendimento sono in grado di modellare con il tempo alcune strutture di collegamento che rimangono più o meno fisse e stabili ma attorno a cui si articolano i collegamenti dinamici. È  come se la nostra rete stradale fosse in grado di modellarsi (in termini di larghezza della strada e di numero di strade e quindi di capacità di gestire il flusso dei passaggi) in tempo reale sulla base del traffico”.

Ci sono diversi metodi che studiano la struttura e l’anatomia delle connessioni stabili (cioè delle connessioni che si formano nel corso dello sviluppo e che si consolidano e irrobustiscono anche su base individuale a seguito di specifiche capacità, apprendimenti, studi, allenamenti (pensiamo alle connessioni che controllano il movimento delle mani di un pianista o della capacità di memorizzazione e rievocazione dei testi scritti che ha un attore di teatro o altre cose simili). Su questa rete stabile, si articolano connessioni transitorie che vanno e vengono con legami (‘fragili’ proprio per facilitare la transitorietà dei medesimi). Per osservare le connessioni “hardware” (quelle anatomiche e strutturali) la metodica migliore è un’evoluzione della risonanza magnetica che si chiama DTI (e derivati) e che ‘vede’ le fibre di connessione. Per quelle funzionali (dinamiche e transitorie), invece, si usa la risonanza magnetica  funzionale. Poi ci sono metodologie più sensibili in grado di studiare nascita e morte di connessioni transienti con velocità elevatissime (tecniche neurofisiologiche basate sul segnale elettromagnetico del cervello che hanno una discriminazione nel tempo dell’ordine dei millesimi di secondo).

“È importante studiare la connettività cerebrale”, afferma il professor Rossini, “perché dopo  avere avuto gli anni  del genoma avremo ora gli anni del ‘connettoma’.  Il cervello lavora, infatti, solo grazie alle connessioni”. Nel contempo il cervello danneggiato perde connessioni e può recuperare solo ed in quanto le connessioni perse si possono in parte o del tutto ricostituire. “Insomma lo studio della connettività sarà la metodica di base della neurologia del prossimo futuro”, sottolinea il professor Rossini.

Applicazioni dello studio del connettoma

Le applicazioni fisiologiche e cliniche dello studio del connettoma sono amplissime: dall’ictus all’epilessia, dall’Alzheimer al Parkinson.

Anomalie della connettività neurale, infatti, sono legate a queste e altre malattie; più in generale non esiste una malattia del cervello che non abbia alla sua base una modifica patologica della connettività.

“Nel corso del convegno saranno presentati dati già pubblicati o in corso di pubblicazione per l’invecchiamento del cervello, per l’Alzheimer, per l’ictus e per l’epilessia oltre ad interessanti ricerche che riguardano i cambiamenti di connettività dei cervelli dei soggetti con amputazione della mano che utilizzano l’arto superiore e la mano robotica”, anticpa il professor Rossini.

Studi e pubblicazioni sul connettoma dei neurologi dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli.

“Il nostro gruppo di ricerca studia il connettoma tramite tecniche avanzate di teoria dei grafi applicate alla analisi del segnale elettroencefalografico (EEG) generato dal cervello umano”, spiega il professor Rossini.

Si è visto come sia possibile equiparare l’architettura del cervello a un grafo, un insieme di archi e nodi, dove i nodi sono rappresentati dalle regioni del cervello e gli archi dai ponti di connessione tra le aree stesse. Sulla base di questo modello matematico i neurologi dell’Università Cattolica e del Gemelli hanno mappato le topografie funzionali che si modulano nell’invecchiamento fisiologico, patologico del cervello (per esempio nelle demenze come la malattia di Alzheimer). Tali risultati sono stati pubblicati su importanti riviste scientifiche internazionali e hanno mostrato che non solo una patologia neurodegenerativa come l’Alzheimer provochi uno sbilanciamento nell’architettura delle connessioni cerebrali, ma anche come il cervello di un giovane si possa distinguere funzionalmente da quello di una persona anziana in cui le assemblee dei neuroni perdono le connessioni più lunghe (cioè con le assemblee più lontane) e mantengono solo quelle più corte con altri gruppi neuronali vicini. “In qualche modo accade quello che caratterizza la vita della persona anziana che vede progressivamente restringersi il proprio mondo di relazioni (casa, chiesa, supermarket, negozi e centro anziani del quartiere)”, spiega Rossini.

Nella neurodegenerazione questi parametri di connettività si correlano con le performance cognitive implicati nei processi di memoria come si osserva dai dati strutturali, ovvero provenienti da risonanze magnetiche. “In particolare si è trovata una forte correlazione con le dimensioni del corpo calloso (una specie di ‘ponte’ che contiene milioni di fibre di connessione che permettono il dialogo e la trasmissione di impulsi tra i due emisferi cerebrali)”, aggiunge Rossini, “ma anche con il volume dell’ippocampo, una struttura cerebrale di fondamentale importanza per la memoria, lo studio del cui volume è  già da tempo esplorato e misurato per la diagnosi di Alzheimer”.

“È stato inoltre interessante osservare come il cervello femminile e maschile abbiano una differente architettura funzionale in termini di connettività in specifiche aree cerebrali”, afferma Rossini.

Tali tecniche di studio del connettoma hanno trovato applicazione anche in altre patologie neurologiche come nella predizione di una crisi epilettica anche fino a 10’ prima della manifestazione della stessa, nella identificazione di lesioni cerebrali come nei pazienti con ictus, nella rilevazione della fatica nei pazienti affetti da sclerosi multipla e nella valutazione della gravità di problemi cardiologici in soggetti con scompenso cardiaco.

“Una delle ultime frontiere di applicazione di queste moderne tecniche di analisi ci ha inoltre consentito di mappare l’architettura cerebrale di specifiche aree cerebrali, come quelle sensorimotorie, che risultano corrotte nel paziente amputato  (ma solo nell’emisfero opposto all’arto amputato, mentre permangono normali in quello opposto all’arto integro”, conclude Rossini, “permettendo inoltre di monitorare la plasticità di queste regioni durante la riabilitazione attraverso arti robotici sensorizzati”.

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