Al Gemelli la lingua dei segni per curare una paziente

Si cura pure con la lingua dei segni. Al Gemelli, un giovane specializzando e una ragazza sorda superano gli ostacoli Marco prende il cellulare, in Internet cerca un "dizionario" che gli traduca «almeno le cose più semplici e necessarie». E la giovane, già in fase acuta, si rasserena
Chiamata dal pronto soccorso, giovedì scorso: «Fra mezz'ora vi mandiamo in reparto una ragazza trentasettenne muta». II reparto è uno di quelli Covid al Policlinico Gemelli di Roma. Marco prende la telefonata, «va bene», poi chiude perplesso, preoccupato. Sa già quanto sia «difficile comunicare con alcune persone anziane che hanno problemi all'udito» e che nemmeno possono aiutarsi col labiale, visto che la bocca di medici e infermieri è coperta da mascherina e tutto il resta E ora con una ragazza che non sente e non parla dalla nascita diventa quasi impossibile. Quasi. Gli viene un'idea, non sa se e quanto possa essere realizzabile, ma non molla. C'è poco tempo, prende il cellulare, in Internet cerca un "dizionario" che gli traduca «almeno le cose più semplici e necessarie» nella lingua dei segni. Lo trova, manda in fretta a mente i gesti per alcune frasi: «Hai difficoltà a respirare? Hai dolore da qualche parte del corpo? Ti senti affannata?». Non che si fidi troppo di quel sito incontrato al volo, ma non ha tempo d'andare per il sottile. Decide d'imparare quei gesti. «Proviamoci», pensa. La ragazza arriva in reparto, è agitata, disorientata, in ossigenoterapia, nella fase acuta della malattia da Covid. Non bastasse tutto questo, anche molto impaurita perché non saprebbe come spiegarsi e spiegare sintomi e tutto il resto. Così potrebbe mettersi male, da subito è necessario inquadrare ogni sintomo e agire di conseguenza. Marco D'Angelo è aquilano, medico specializzando alla Scuola di Medicina interna dell'Università Cattolica , diretta da Antonio Gasbarrini, ha ventotto anni. Va subito da lei. Entra nella sua stanza, la saluta con un cenno della mano, lei risponde con gli occhi. C'è un muro fra loro. Inevitabile. Invalicabile. Quasi, appunta Si muove subito, inutile, oltre che dannoso, perdersi in preamboli. Le fa una domanda con la lingua dei gesti. Lei non se l'aspetta. «Sbarra gli occhi, inizia a sorridere e da quel momento fra noi non ci sono più barriere comunicative», racconta Marco, «ero incredulo davanti alla sua reazione così bella». Le chiede se ha dolori al corpo, lei gli risponde no, le chiede se ha difficoltà respiratorie e lei replica ancora no: «Ero contentissimo, capiva i miei gesti, quel che avevo imparato in mezz'ora non era sbagliato. Davvero era proprio crollato quel muro. Davvero, soprattutto, adesso la vedevo più serena». E poiché il cuore a volte conta quanto le terapie, «il gesto che da quel giorno le ripeto più spesso è "tu stai bene, tranquilla" e lei si tranquillizza, si sente molto più a suo agio». S'è emozionato quel giorno. «Ho provato un calore immenso al cuore, come se avessi riscoperto l'umanità», spiega: «Una sensazione di dolcezza verso questa ragazza Ho realmente sentito il cuore che si riscaldava, non saprei spiegartela in un altro modo». Marco si emoziona ancora: «SII, è stata una riscoperta d'umanità. Rendendomi conto come le piccole cose riescano a far diventare più belle le emozioni di una persona, riescano a farla sentire al sicuro». Quattro giorni dopo, per quella ragazza s'è messa bene. La necessità dell'ossigeno si è ridotta, tanto che proprio ieri gliel'hanno staccato e controllano se respira sola senza problemi. Presto sarà fuori dal Covid e dall'ospedale. E Marco, prima di salutarci, lo ripete: «Lei ha capito che potevamo capirci e l'ho vista cambiare, giovedì mi si è scaldato il cuore. Credimi. Veramente».
(Pino Ciociola - Avvenire)
Link al video: https://youtu.be/35-AkLLDQOM