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Tumore alla cervice: cure più efficaci con l’immunoterapia

21 March 2024
Research

Lo studio di fase III, che ha coinvolto oltre 1000 donne in 30 paesi, dimostra un significativo miglioramento della sopravvivenza libera da progressione nelle donne con cancro alla cervice localmente avanzato ad alto rischio che hanno ricevuto l’immunoterapia insieme alla terapia standard con chemioterapia e radioterapia. Sono i primi risultati legati al trattamento in prima linea per le nuove diagnosi di tumori localmente avanzati.

L’aggiunta di immunoterapia al trattamento standard con chemio-radioterapia offre miglioramenti significativi e clinicamente rilevanti nella sopravvivenza delle donne con una diagnosi di cancro cervicale localmente avanzato e ad alto rischio. È questo il risultato incoraggiante di uno studio multicentrico di fase III pubblicato sulla rivista Lancet, ideato e coordinato da Domenica Lorusso – oggi responsabile della Ginecologica Oncologica di Humanitas San Pio X e professoressa ordinaria di Humanitas University – mentre era Responsabile UOC Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a Roma. Allo studio ha preso parte anche il professore Giovanni Scambia, direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ordinario di Ginecologia e ostetricia all’Università Cattolica. Il tumore della cervice è il quarto tumore più comune nelle donne in tutto il mondo e la quarta causa di morte per cancro nelle donne tra i 35 e i 54 anni. Il protocollo prevedeva la somministrazione di pembrolizumab, un inibitore dei check-point immunitari, insieme al ciclo standard di radioterapia e chemioterapia concomitante, seguito da un trattamento di mantenimento con il solo pembrolizumab. Secondo i risultati, il trattamento combinato con immunoterapia, se paragonato a quello standard più placebo, ha ridotto del 30% il rischio di progressione della malattia o di morte. Questo beneficio è stato consistente in tutti i sottogruppi di pazienti, sebbene sia più pronunciato nei casi di malattia in fase più avanzata.

«Si tratta di un traguardo importante, dal momento che il trattamento convenzionale, in uso dal 1999, ha un’efficacia limitata, soprattutto per le pazienti con la forma localmente avanzata della malattia – afferma la prof.ssa Domenica Lorusso –. Studi precedenti avevano già mostrato miglioramenti con l'uso di pembrolizumab, sia da solo che in combinazione con regimi chemioterapici, ma solo in pazienti con cancro cervicale metastatico o in recidiva. Questa è la prima volta che testiamo il trattamento in prima linea, per le nuove diagnosi di tumori localmente avanzati». Il profilo di sicurezza di pembrolizumab in combinazione con la chemio-radioterapia è risultato coerente con quelli relativi alle singole componenti del trattamento, senza quindi presentare effetti di rischio cumulativo. Afferma il prof. Giovanni Scambia: «È il primo studio a riportare un miglioramento significativo nella sopravvivenza per il cancro cervicale localmente avanzato e ad alto rischio. Crediamo che questi dati possano aprire la strada a un nuovo approccio terapeutico combinato – immunoterapia e chemio-radioterapia – per questo tipo di tumore».  

Lo studio clinico Lo studio ha coinvolto 1060 pazienti con una nuova diagnosi di cancro alla cervice ad alto rischio e localmente avanzato, arruolate in 176 centri di 30 paesi nel mondo, tra giugno 2020 e dicembre 2022. Le pazienti sono state assegnate a due gruppi in doppio-cieco (ovvero senza che né loro né i ricercatori conoscessero il gruppo di appartenenza): un gruppo di 529 pazienti a cui è stato somministrato pembrolizumab in aggiunta al trattamento chemio-radioterapico; un gruppo di controllo, con 531 pazienti, a cui è stato somministrato un placebo in aggiunta al trattamento standard. La somministrazione di pembrolizumab (o del placebo) avveniva sia durante i cicli di chemio-radioterapia sia alla fine di questi ultimi, come trattamento di mantenimento. Secondo i risultati dello studio, a due anni dal trattamento, il pembrolizumab riduce il rischio di progressione della malattia o di morte del 30%. Gli effetti del trattamento si sono visti a partire già dalla prima valutazione radiografica e sono proseguiti nel tempo. Per questo i ricercatori credono che la differenza tra i due gruppi in termini di efficacia, e quindi il miglioramento conferito da pembrolizumab, possa aumentare man mano che prosegue il follow-up. Recentemente sono stati anche diffusi i dati del primo studio di Fase 3 che ha valutato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza globale delle pazienti trattate con questo approccio terapeutico. L’azione dell’anticorpo monoclonale che toglie il freno al sistema immunitario Il pembrolizumab è un anticorpo monoclonaleche inibisce l’attivazione di una proteina di superficie delle cellule T, chiamata PD-1. Inibire questa proteina durante il trattamento di un tumore è importante perché PD-1 funziona come un freno: quando viene stimolata indebolisce l’azione delle cellule T e quindi di tutta la risposta immunitaria, favorendo la proliferazione del tumore. Non a caso molte cellule tumorali esprimono sulle loro membrane delle proteine che si legano a PD-1 e la attivano, impedendo così alle cellule T di riconoscere e attaccare il tumore. Inibendo PD-1, il pembrolizumab interferisce quindi con uno dei meccanismi che il tumore utilizza per proteggersi dall'attacco del sistema immunitario. Il pembrolizumab rientra nella famiglia degli inibitori dei checkpoint immunitari, la cui scoperta è valsa il premio Nobel per la Medicina 2018. La loro introduzione in clinica ha già rivoluzionato il trattamento di molti tipi di tumore, sebbene la ricerca continui: sono numerosi gli studi clinici in corso che stanno testando l’efficacia di questa classe di farmaci per nuovi tipi di tumori o in nuove combinazioni con i trattamenti standard, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia delle terapie e rendere il cancro sempre più curabile. Il tumore della cervice uterina Il carcinoma della cervice uterina è il secondo tumore ginecologico per frequenza tra le donne, dopo il tumore dell’endometrio, con circa 2.500 nuove diagnosi (1,3% di tutti i tumori femminili) stimate nel 2022. Il tumore della cervice in fase iniziale, in genere, non presenta sintomi. Quando invece si presentano, i sintomi sono comuni a molte malattie dell’apparato genitale femminile e questo determina la difficoltà di ottenere una diagnosi precoce. Il cancro della cervice è causato nel 97% dei casi da un’infezione da papillomavirus umano (HPV), che si trasmette per via sessuale. Questo tumore si può prevenire con la vaccinazione contro l’HPV offerta gratuitamente a uomini e donne dai 12 ai 26 anni di età e con gli esami di screening con Pap-test o HPV-DNA test. Il Pap test va eseguito ogni tre anni a partire dai 25 anni (le indicazioni cambiano in caso di risultato positivo); il test HPV ogni 5 anni dai 30-35 anni.

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