Lotta alle infezioni ospedaliere e all’antibiotico-resistenza: la ricetta del Gemelli

C’è una pandemia silenziosa che precede e sopravvivrà a lungo a quella da nuovo coronavirus. È quella delle infezioni antibiotico-resistenti e di quelle correlate all’assistenza (ICA). Le prime determinano 760.000 casi l’anno in Europa e 200 mila in Italia, di cui 10 mila con esito mortale. Le seconde provocano almeno 37 mila decessi l’anno in Europa e generano una spesa di oltre 7 miliardi di euro. E l’emergenza COVID-19, con l’uso massivo di antibiotici e disinfettanti che ha comportato in questi mesi, secondo gli esperti avrà un impatto devastante sui fenomeni di antibiotico-resistenza. L’argomento e le possibili soluzioni al problema sono stati al centro del convegno ‘Azioni di contrasto alle ICA e all’antibiotico-resistenza nell’emergenza COVID-19’, tenutosi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma il 24 settembre. Un approccio combinato di antimicrobial stewardship, cioè un corretto uso degli antibiotici, di diagnostic stewardship, cioè un uso intelligente dei sistemi diagnostici a disposizione e un approccio di infection prevention, che passi dal contenimento ambientale delle infezioni, anche attraverso innovativi sistemi di sanificazione e dalla sensibilizzazione di personale sanitario e del pubblico, rappresentano la direzione da percorrere.
“In questo duello costante tra uomo e natura – ha affermato il Rettore dell’Università Cattolica, professor Franco Anelli, introducendo i lavori - accade che l’antibiotico, fondamentale per debellare le infezioni, una causa di morte che per secoli ha afflitto l’umanità, se usato in eccesso e in modo smodato diventa strumento di rafforzamento e potenziamento dei batteri e quindi abbiamo sempre più casi di infezioni antibiotico-resistenti. Ed è un insegnamento fondamentale. La vittoria sugli agenti naturali potenzialmente nocivi non è mai definitiva. Esiste sempre una possibile e potenziale seconda fase. E l’argomento ‘antibiotico-resistenza’ ci riporta anche a un tema oggetto di grande attenzione del pontificato di Papa Francesco: il rapporto tra l’uomo e la natura. Non sapere governare gli aspetti, non tener conto del fatto che immettere nel sistema un nuovo farmaco che cura alcune malattie ma può avere delle retroazioni negative, è un difetto di lungimiranza che, come stiamo sperimentando, può creare gravi problemi”.
“Questo convegno – ha affermato nel suo saluto introduttivo S.Em.za Rev.ma Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, Prefetto Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale - si propone di individuare cause e possibili soluzioni al problema delle infezioni correlate all’assistenza (ICA); così come è importante cercare percorsi e protocolli atti a minimizzare il portato di questa situazione. Come contributo specifico del dicastero mi piace citare cosa ha detto Papa Francesco l’11 settembre all’inaugurazione del Congresso mondiale di Ginecologia oncologica. “La persona malata è sempre e molto di più del protocollo all’interno del quale la si inquadra dal punto di vista clinico. Ne è prova il fatto che quando il malato vede riconosciuta la propria singolarità, cresce subito la fiducia verso l’équipe medica e verso l’orizzonte positivo. La vostra professione di medico deve sempre cercare una dimensione antropologica che identifichi nella persona malata e nella sua famiglia il vero fine del vostro agire. E questo deve avvenire riappropriandosi di un percorso formativo capace di passare dall’egemonia del tecnicismo e specializzazione, ad una visione dove prendersi cura dell’altro significa principalmente prendere in carico non solo la malattia ma la persona e il suo contesto di vita. E creare un clima di empatia e fiducia, oggi tanto trascurato, consentirà di superare quella barriera che una distorta visione economicista ed efficientista costruisce sempre più tra i professionisti e la persona malata”.
E il tema dell’antibiotico-resistenza e delle infezioni correlate all’assistenza rappresenta una priorità per i vertici delle strutture sanitarie, ma è anche responsabilità personale di ogni operatore. “E’ necessario approntare azioni organizzative di prevenzione per arginare questo fenomeno – ha commentato il Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, professor Marco Elefanti. I comportamenti diffusi all’interno di una realtà complessa come il nostro Policlinico fanno la differenza. In epoca COVID abbiamo rilevato un crollo dei fenomeni delle ICA per l’implementazione di una corretta igiene delle mani. Un accorgimento apparentemente semplice e banale che sta producendo risultati eclatanti”.
“Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza – ricorda il
professor Walter Ricciardi, ordinario di Igiene Generale e Applicata
dell'Università Cattolica e Presidente della World Federation of Public Health
Associations (WFPHA) – è una strage che rischia di diventare un’ecatombe.
Insieme all’allora ministro Lorenzin, abbiamo varato il primo Piano Nazionale
contro l’Antibiotico-resistenza che prevede tra l’altro la creazione di un
Comitato per le Infezioni Ospedaliere (CIO), ma sono ancora troppo pochi gli
ospedali che in Italia lo hanno implementato. Eppure, entrare in ospedale è
oggi una delle attività più pericolose. Fondamentale per invertire il trend è
il comportamento degli operatori sanitari e naturalmente l’igiene ambientale. E
oggi presentiamo un'innovazione rivoluzionaria per la sanificazione e la
disinfezione degli ospedali – annuncia il professor Ricciardi – Si tratta del
sistema di sanificazione PCHS, una elaborata innovazione micrologica non
inquinante, che utilizza il sistema della lotta microbiologica e rimodula il
microbioma ospedaliero. I disinfettanti chimici sono efficaci, ma determinano
una serie di effetti indesiderati quando usati giorno dopo giorno sulle mani e
nell'ambiente. Hanno cioè un impatto sulla salute. La novità della
sanificazione biologica, mesa a punto nel nostro Paese, potrà essere esportata
e contribuire a ridurre le infezioni ospedaliere".
Un traguardo questo raggiunto grazie ad un progetto di ricerca al quale hanno
collaborato la professoressa Elisabetta Caselli, dell'università di
Ferrara, il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro
e la professoressa Patrizia Laurenti, direttore Unità operativa Igiene ospedaliera
della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
“La sanificazione convenzionale – spiega la professoressa Caselli – si basa sui disinfettanti chimici che hanno un grande impatto sull’ambiente e rischiano di far emergere resistenze a disinfettanti e antibiotici, per cross-resistenza. L’alternativa è la sanificazione biologica, che sostituisce i germi dannosi con altri ‘buoni’ per un meccanismo di esclusione competitiva. Ad un detergente ecosostenibile vengono aggiunte spore di un probiotico (Bacillus species); questo sistema inibisce la crescita di batteri e miceti in misura dell’80% superiore alla sanificazione tradizionale. La rimodulazione del microbioma ospedaliero può contribuire a ridurre le infezioni ospedaliere, come dimostra uno studio condotto preso 6 ospedali e 5 università per 18 mesi e, secondo uno studio della Bocconi, l’impiego della sanificazione biologica nell’arco di 5 anni permetterebbe di evitare circa 31.000 infezioni ospedaliere e di risparmiare almeno 14 milioni di euro (11 dei quali per il trattamento delle infezioni antibiotico-resistenti). E la prossima frontiera, per rendere sempre più efficiente questa modalità di sanificazione è rappresentata dall’uso di batteriofagi litici”.
Tra le eredità pesanti che la pandemia di COVID-19 è destinata a lasciarci c’è anche quella dell’aggravamento del fenomeno dell’antibiotico-resistenza e delle infezioni correlate all’assistenza che hanno un forte impatto in termini di allungamento delle degenze ospedaliere, utilizzo di antibiotici e aumento del rischio morte. “Questo coronavirus determina una polmonite – afferma il professor Prof. Roberto Cauda, Direttore Area Microbiologia e malattie infettive della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Ordinario di Malattie Infettive, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Campus di Roma - è quindi giocoforza che nel trattamento di questi pazienti si utilizzi anche una terapia antibiotica che, il più delle volte, è ad ampio spettro. Questo trattamento è di certo giustificato dalla gravità clinica dei pazienti ma non è privo di impatto sull’antibiotico-resistenza. I tempi non sono ancora maturi per valutare l’effetto che questa pandemia avrà sull’antibiotico-resistenza ma, da segnalazioni già esistenti in letteratura, si può anticipare che sarà importante”.
"Oltre il 90% dei pazienti Covid-19, di cui abbiamo analizzato le cartelle cliniche – conferma Silvio Brusaferro, Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, intervenendo al convegno - riceve terapia antibiotica empirica. Un fattore da analizzare per quanto riguarda l'antibiotico-resistenza. Durante la pandemia, l'attenzione a questo fenomeno infatti non è stata prioritaria. E' un fattore sul quale riflettere. Dobbiamo affrontare i prossimi mesi anche tenendo conto di questo".
E’ importante insomma attrezzarsi a 360 gradi per gestire e governare l’interferenza di ambiente, paziente con le sue fragilità, comportamento degli operatori. “E il Gemelli si presenta preparato a questa sfida – ricorda il Dottor Andrea Cambieri, Direttore Sanitario del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS - con il suo Comitato Infezione Ospedaliera, i medici di sanità pubblica, gli infermieri dedicati al controllo del terreno, ma anche con le competenze di risk management della Direzione Sanitaria, il Servizio di igiene ospedaliera che monitora tutto, giorno dopo giorno, il laboratorio, vera e propria ‘Google map’ della prevenzione che guida gli infettivologi nei reparti attraverso le notifiche di laboratorio che arrivano loro su un applicativo realizzato ad hoc. Tutto questo richiede procedure che vanno aggiornate e riapprese periodicamente. C’è un gran lavoro da fare, anche nel campo della patient education e delle policy per gli accompagnatori. Il COVID ha creato un senso di urgenza che ha accelerato dei percorsi già ampiamente implementati presso il nostro Policlinico. E nei prossimi anni, saremo chiamati a cimentarci sulla prevenzione del contenzioso, un'altra frontiera dell’antibiotico-resistenza”.
Il Laboratorio di Microbiologia è naturalmente al cuore di tutta questa conversazione. È lì che si individuano i germi responsabili delle malattie e si determina la loro eventuale resistenza alle cure. E’ da lì che partono tempestivamente gli allarmi per isolare il paziente e le indicazioni per gli infettivologi che, giorno dopo giorno imparano, anche sul campo, a diventare champion di antimicrobial stewardship. E l’emergenza COVID-19 non è passata certo inosservata in questo servizio.
“Da fine agosto – rivela il professor Maurizio Sanguinetti, direttore Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – c’è stato un incremento esponenziale dell’attività diagnostica (al momento facciamo il doppio degli esami rispetto al clou della pandemia a marzo-aprile); per il laboratorio l’emergenza COVID non è mai finita. La settimana scorsa abbiamo fatto più di 5 mila test mantenendo la mediana di risposte sotto le 10 ore e in mesi il laboratorio si è dovuto adattare in maniera molto fluida per venire incontro alle necessità cliniche. Per quanto riguarda le ICA, la microbiologia è cambiata in maniera sostanziale negli ultimi 10 anni, perché accanto alle normali procedure di coltura, c’è la possibilità di effettuare test rapidi molecolari che consentono di dare risposte in tempi molto ristretti. Fondamentale il contenimento ambientale della presenza dei microrganismi, ma senza dimenticare che uno dei veicoli fondamentali di trasmissione delle infezioni è l’uomo. Non sempre ci sono reservoir ambientali che sostengono le ICA. A volte è semplicemente il trasferimento da un paziente all’altro. Per questo è necessario un approccio combinato di antimicrobial stewardship, cioè di gestione dei farmaci, di diagnostic stewardship, cioè di utilizzare in maniera intelligente i sistemi diagnostici a disposizione e un approccio di infection prevention. Solo mettendo insieme tutte e tre queste variabili noi riusciamo ad ottenere dei buoni risultati”.
Maria Rita Montebelli
