CoviDIAB un progetto internazionale per studiare il ‘diabete da coronavirus’
Le persone con diabete non sembrano a maggior rischio di contrarre la COVID-19, ma nei soggetti con diabete l’infezione mostra un decorso improntato ad una maggior aggressività e pericolosità. Secondo alcune casistiche il rischio di mortalità da COVID-19 aumenta di 3,5 volte nelle persone con diabete di tipo 1 e risulta raddoppiato nel tipo 2, rispetto alla popolazione generale. E questo è tutto quello che si sapeva fino a qualche tempo fa dei rapporti tra COVID-19 e diabete.
Ma adesso sta cominciando ad emergere un’altra realtà: il coronavirus potrebbe essere la causa di nuove forme di diabete, simili sia al tipo 1 che al tipo 2. E per indagare su questa nuova ipotesi di lavoro è nata una collaborazione tra diversi centri di ricerca nel mondo, che hanno sottoscritto una ‘lettera’ appena pubblicata dal New England Journal of Medicine, nella quale si annuncia la realizzazione di un apposito registro web per raccogliere i dati dei pazienti con COVID-19 che abbiano presentato un diabete di nuova comparsa.
“In questi mesi – spiega uno dei firmatari della ‘letter’ al New England, la professoressa Geltrude Mingrone, associato di Medicina Interna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, e Direttore della UOC di Patologia dell’Obesità, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - anche al Gemelli, abbiamo osservato dei casi di diabete di nuova insorgenza in alcuni pazienti affetti da COVID-19. In questi soggetti il diabete non era sicuramente antecedente all'infezione, ma è comparso insieme o successivamente alla COVID. Per questo motivo insieme al professor Francesco Rubino del King’s College di Londra, a Paul Zimmet e George Alberti, tra le massime autorità mondiali nell’ambito dell’International Diabetes Federation, al professor Stefano Del Prato , presidente dell’European Association for the Study of Diabetes (EASD) e ad altri esperti internazionali aderenti al progetto CoviDIAB, abbiamo pensato di realizzare un registro web (covidiab.e-dendrite.com), nel quale ricercatori di tutto il mondo possano inserire la loro casistica di pazienti COVID-19 con diabete di neodiagnosi. Questo ci aiuterà a rispondere ad una serie di domande sulla frequenza con la quale compaiono questi casi di neo-diabete nei pazienti con infezione da coronavirus e se le alterazioni della glicemia in questi soggetti tendono a rimanere tali o a scomparire dopo qualche tempo (e in questo caso, bisognerà verificare se questi pazienti rimangano a maggior rischio di diabete e di chetoacidosi). Non è noto inoltre se il diabete da COVID-19 sia una forma del tutto inedita e diversa sia dal tipo 1 che dal tipo 2; come anche non sappiamo se l’infezione da coronavirus sia in grado di far deragliare la storia naturale di un diabete preesistente al contagio. Dare una risposta a queste domande è dunque una priorità per la ricerca ma soprattutto per i pazienti”.
Il ‘diabete da COVID-19’ può manifestarsi all’improvviso, anche con quadri di estrema gravità. “Alcuni dei pazienti con diabete di nuova comparsa – prosegue la professoressa Mingrone - oltre a mostrare i sintomi tipici della COVID-19, sono andati in coma iperosmolare, con valori di glicemia che in qualche caso hanno sfiorato i 1.000 mg/dl. In Australia e in Canada sono stati segnalati invece diversi casi di pazienti con forme di diabete di tipo 1 di nuova insorgenza durante l’infezione. Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che porta a distruzione le cellule beta pancreatiche produttrici di insulina che potrebbe avere un innesco virale; è possibile dunque che il coronavirus possa rappresentare un fattore scatenante. Alcuni studi hanno dimostrato che il coronavirus può attaccare direttamente anche il pancreas. Bisogna ricordare inoltre che i recettori ACE2, che sono la porta d’ingresso del virus nelle cellule, si ritrovano non solo sulle cellule beta pancreatiche, ma anche in altri organi e tessuti metabolici chiave, quali intestino, reni e tessuto adiposo, fatto questo potrebbe spiegare una maggior aggressività della COVID-19 nei soggetti in sovrappeso/obesi con insulino-resistenza”.
Il SARS-CoV2 potrebbe insomma alterare il metabolismo del glucosio in tanti modi diversi e portare non solo a slatentizzare delle forme di ‘pre-diabete’, ma anche a provocare dei casi di diabete (sia tipo 1, che tipo 2) di nuova insorgenza. Questo effetto ‘diabetogeno’ della COVID-19 non ha nulla a che vedere con le iperglicemie ‘da stress’ osservate spesso anche in pazienti non diabetici durante un ricovero in ospedale, né è imputabile alla terapia con cortisone che i pazienti con COVID-19 spesso ricevono ad alti dosaggi nel corso della loro malattia, perché la glicemia non si normalizza alla sospensione di questo trattamento.
“L’idea di realizzare questo registro web – spiega la professoressa Mingrone - nasce proprio dall’intenzione di cercare di capire quanti casi di queste forme di ‘diabete da COVID-19’ ci siano a livello mondiale. L’invito alla comunità scientifica internazionale è dunque quello di inserire nel registro i casi COVID con diabete neodiagnosticato, da fine febbraio in poi, per facilitare le ricerche su questa inedita forma di diabete”.
Maria Rita Montebelli