Tumore della vescica: il ruolo guida della biopsia liquida, tra le principali novità da ESMO 2025

Considerata finora una neoplasia ‘Cenerentola’ per mancanza di novità terapeutiche da moltissimo tempo, il 2025 si conferma l’anno d’oro per le novità di trattamento di questa neoplasia, che nel 2024 in Italia ha fatto registrare oltre 31 mila nuovi casi. E dallo studio IMvigor011, pubblicato sul New England Journal of Medicine emerge il ruolo della biopsia liquida come stella polare per orientare il trattamento. Tra gli autori, il professor Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia Medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Comprehensive Cancer Center (CCC) di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS
Dal congresso della Società Europea di Oncologia (ESMO) tenutosi di recente a Berlino arrivano importanti novità per le persone affette da tumore della vescica. Se la prevenzione primaria e la diagnosi precoce restano le armi fondamentali per combattere questa neoplasia, gli oncologi adesso hanno a disposizione nuove strategie terapeutiche per prolungare la sopravvivenza anche nelle forme più avanzate e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Ma anche nuovi strumenti diagnostici, come la biopsia liquida, per guidare la scelta delle strategie terapeutiche.
Sono due le principali tipologie di tumore della vescica: quello superficiale (non muscolo invasivo) e quello avanzato (muscolo invasivo), che descrivono il grado di invasione in profondità a livello della parete della vescica. I primi sono a bassissimo rischio metastatizzazione, ma hanno un’elevata possibilità di recidivare. Le forme muscolo-infiltranti (MICB) sono invece le più aggressive, perché il muscolo è una zona molto vascolarizzata della vescica e questo facilita lo sviluppo delle metastasi.
I sintomi d’allarme da non sottovalutare sono l’ematuria (sangue nelle urine) e bruciore persistente alla minzione. Urine sterili e urinocolture negative portano ad escludere un’infezione (cistite); e, di fronte al ripetersi di episodi di questo genere, è bene approfondire le indagini con un esame strumentale. “Il gold standard della diagnosi nel sospetto di un tumore della vescica è la cistoscopia – spiega il professor Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia Medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Comprehensive Cancer Center (CCC) di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – e il primo step terapeutico è affidato alla resezione vescicale per via trans-uretrale (TURV). L’esame istologico del pezzo operatorio – prosegue il professor Tortora – ci indica se il tumore ha raggiunto la tonaca muscolare o se è ancora limitato agli strati più superficiali della mucosa che riveste la parte interna della vescica.
Nel caso delle forme muscolo-infiltranti, la terapia chirurgica può prevedere direttamente la cistectomia (asportazione completa della vescica), un intervento invasivo e potenzialmente invalidante. Per questo, tutte le strategie terapeutiche che possono ritardare la ricomparsa del tumore o rimandare la cistectomia sono preziose. Buone speranze a questo riguardo arrivano dagli anticorpo-farmaco coniugati e dall’immunoterapia. Inoltre, si sta cercando di capire quali criteri possano guidare la scelta del trattamento successivo all’atto chirurgico. E la cosiddetta biopsia liquida (determinazione del ctDNA) sta emergendo come ‘stella polare’.
Per le forme di tumore vescicale muscolo-infiltranti, importanti novità arrivano infatti dallo studio di fase 3 IMvigor011 (presentato a ESMO 2025 e pubblicato in contemporanea sul New England Journal of Medicine), che ha dimostrato il ruolo della biopsia liquida (ctDNA) nel guidare la scelta di trattamento da effettuare dopo l’intervento chirurgico di cistectomia radicale (cosiddetta terapia adiuvante), individuando quali pazienti ne hanno bisogno e in quali si può evitare. Lo studio è stato condotto su 250 pazienti con tumore muscolo-invasivo della vescica sottoposti a cistectomia radicale e successivamente a monitoraggio seriato del ctDNA per un anno. Tra quelli che non mostravano evidenza radiologica di recidiva del tumore, ma risultavano positivi alla biopsia liquida, 167 sono stati avviati subito a trattamento con l’immunoterapia (atezolimab), mentre i restanti 83 proseguivano con l’osservazione (gruppo di controllo)
“IMvigor011 – spiega il professor Tortora, che è tra gli autori di questa pubblicazione – ha dimostrato il significativo beneficio in termini di sopravvivenza offerto dalla terapia adiuvante con atezolizumab (immunoterapia), nei pazienti risultati positivi al test per il DNA tumorale circolante (ctDNA o biopsia liquida). A un follow-up mediano di 16,1 mesi, i pazienti nel braccio atezolizumab presentavano una sopravvivenza libera da malattia (DFS; endpoint primario) mediana di 9,9 mesi, rispetto ai 4,8 mesi del gruppo di controllo (placebo) e un aumento del 41% della sopravvivenza globale (OS) mediana (32,8 mesi contro i 21,1 mesi del gruppo di controllo).
I risultati di questo studio confermano dunque che la rilevazione della malattia residua molecolare (MRD) basata sul ctDNA è fortemente prognostica nel MIBC e in altre patologie. Cominciare un trattamento sulla base dei risultati della biopsia liquida (che evidenzia una recidiva ‘molecolare’), senza aspettare la ricomparsa clinica o radiologica del tumore, migliora le possibilità di sopravvivenza”.
“I risultati dell’IMvigor 011 – conclude il professor Tortora – forniscono per la prima volta un’evidenza di livello 1 basata su uno studio prospettico randomizzato e ci dicono che, in presenza di malattia residua molecolare, un paziente dovrebbe essere sottoposto a trattamento; mentre si può evitare di trattarlo in caso di biopsia liquida negativa. Atezolizumab al momento non è universalmente usato nel trattamento del cancro alla vescica dopo intervento chirurgico. I risultati dell’IMvigor 011 fanno inoltre da apripista ad ulteriori studi sull’impiego della biopsia liquida in un ambito molto importante, come la terapia perioperatoria per il cancro alla vescica.
Il test di rilevazione del ctDNA (Signatera™), utilizzato in questo studio analizza l’esoma ed è di vecchia generazione rispetto ad altri più recenti, che sono più sensibili e valutano l’intero genoma. In questo studio, il monitoraggio è stato però molto intensivo, attenuando i limiti di sensibilità del test. Sono in corso altri trial per cercare di capire se il ctDNA potrà essere utilizzato per guidare l’escalation e la de-escalation della terapia adiuvante, dopo l’intervento chirurgico”.
Il tumore della vescica è più frequente nei maschi per via di una maggior abitudine al fumo, ma sta aumentando anche tra le donne. Lo scorso anno in Italia ne sono stati stimati circa 31.000 nuovi casi e al momento ci sono circa 313.000 persone in Italia che vivono con una diagnosi di tumore alla vescica (dati 2022).
Maria Rita Montebelli










