Vitiligine: i nuovi trattamenti presso l’ambulatorio dedicato

Finora gravata da un forte stigma sociale, perché molto visibile, la vitiligine è una malattia dermatologica che interessa oltre 300 mila italiani, in varie forme di gravità. Il trattamento, affidato tradizionalmente a corticosteroidi e immunomodulanti topici, sta attraversando una vera rivoluzione. Sono già disponibili presso i centri autorizzati, come l’Ambulatorio della Vitiligine di Fondazione Policlinico Gemelli, i JAK inibitori in crema per il trattamento delle ‘macchie’ del volto. Ma già si guarda con speranza agli studi di fase 3 sui JAK-inibitori in compresse, per la gestione delle forme più estese di malattia.
Carla, una simpatica quarantenne, una mattina guardandosi allo specchio scopre una macchiolina biancastra sulla guancia sinistra. Pensando di avere un’infezione da funghi, si reca dal medico di famiglia, che la invia per una conferma diagnostica dal dermatologo. La donna si reca quindi presso l’Ambulatorio di Dermatologia di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, dove viene ricostruita la sua storia clinica (anamnesi); la paziente è affetta da un disturbo alla tiroide (ipotiroidismo da tiroidite di Hashimoto) da molti anni. Il dermatologo passa quindi all’ispezione clinica della sua superficie corporea, con l’aiuto dalla lampada di Wood (una lampada UV che consente di meglio evidenziare le macchie ipopigmentate, anche quelle non ancora visibili a occhio nudo) e le comunica la diagnosi di vitiligine. Quella di Carla è una delle tante storie che i dermatologi del Gemelli vedono ogni giorno. “La vitiligine – spiega –la dottoressa Alessandra D’Amore della UOC di Dermatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – è una malattia molto diffusa tra la popolazione generale: interessa circa 300 mila italiani, di entrambi i sessi. Ne esistono forme localizzate (segmentali) e generalizzate (non segmentali); a prevalere sono le forme generalizzate che interessano il volto, gli arti (soprattutto le mani), i cavi ascellari e l’area genitale”.
Fino a qualche mese fa per questi pazienti non si disponeva di trattamenti ad hoc; la terapia consisteva nella somministrazione di cortisonici per via topica o sistemica e di immunomodulanti topici. Ma qualcosa sta finalmente cambiando. La ricerca ha consentito di comprendere che la malattia, che può risentire anche di una certa predisposizione genetica, è causata da un meccanismo autoimmune-infiammatorio che distrugge o mette ‘a riposo’ i melanociti (le cellule produttrici di melanina, il pigmento responsabile del colore della nostra pelle e dell’abbronzatura), senza che questo provochi sempre un danno definitivo. “Inserirsi in questo meccanismo, con farmaci in grado di interrompere le vie dell’infiammazione -– spiega la professoressa Ketty Peris, Ordinario di Dermatologia e Venereologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOC Dermatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – permette di ‘risvegliare’ i melanociti che riprendono a funzionare e a pigmentare la pelle. “Da qualche mese – spiega la dottoressa D’Amore – abbiamo a disposizione la crema al ruxolitinib (un JAK 1 e 2-inibitore) che i pazienti applicano sul volto due volte al giorno, per lunghi periodi, ottenendo in una buona parte dei casi, una soddisfacente ripigmentazione, con conseguente scomparsa delle ‘macchie’ di vitiligine. Già dopo 12 settimane di trattamento – ricorda la dottoressa D’Amore – possiamo vedere se c’è una risposta al trattamento, con la comparsa di isole di ripigmentazione. Nei soggetti con forme generalizzate (la crema può essere applicata solo su massimo il 10% della superficie corporea), integriamo la terapia con i cortisonici locali. Non ci sono controindicazioni al trattamento con ruxolitinib, ad eccezione della gravidanza e dell’allattamento”. Ma questo è solo l’inizio. Si guarda adesso con grande attenzione agli studi sui JAK-inibitori in compresse, che potrebbero offrire una soluzione anche ai pazienti con le forme generalizzate di vitiligine. “Inizierà a breve uno studio di fase 3 sul povorcitinib in compresse – ricorda la professoressa Peris – che speriamo possa dare una risposta a tanti pazienti con la forma generalizzata di questa patologia. Inoltre, ci sono anche altre terapie al vaglio degli studi clinici. Il trattamento di questa condizione è insomma destinato a cambiare per il meglio. I nostri pazienti devono guardare dunque con fiducia al futuro”.
Maria Rita Montebelli










