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Melanoma uveale (dell’occhio): tutte le novità di trattamento

22 November 2024

Il Policlinico Gemelli è un centro d’eccellenza a livello internazionale nel trattamento di questa patologia rara, grazie al suo team multidisciplinare che comprende oculisti, oncologi e radioterapisti. Orfano di terapia per molti anni, questo tumore raro è al momento al centro di una serie di studi clinici internazionali, al quale prende parte anche l’oncologia del Gemelli, che ha organizzato una masterclass sul melanoma uveale, con una lecture del professor Richard D. Carvajal, del Northwell Health Cancer Institute di New York, uno dei maggiori esperti mondiali sull’argomento.

È il tumore più frequente dell’occhio, ma anche così il melanoma uveale è un tumore raro, con un’incidenza di 5 persone su un milione (i numeri relativi all’Italia sono di 300-400 nuovi casi l’anno). Si sviluppa a partire dai melanociti dello strato intermedio della parete dell’occhio, quella membrana colorata che comprende anche l’iride.

I SINTOMI. Calo del visus o alterazioni significative del campo visivo sono i sintomi d’allarme di questo tumore. “Regolari visite oculistiche – spiega il professor Giovanni Schinzari, Associato di Oncologia Medica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e Oncologo presso l’Oncologia Medica di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS, diretta dal professor Giampaolo Tortora - potrebbero consentire di diagnosticarlo in fase molto iniziale, quando è più trattabile. La prima diagnosi è infatti clinica e viene effettuata dall’oculista; noi lavoriamo in team con la dottoressa Monica Maria Pagliara, del gruppo del professor Gustavo Savino, direttore della UOC di Oncologia Oculare”.

“Nonostante il nome – spiega il dottor Ernesto Rossi, oncologo presso d’Oncologia Medica di Fondazione Policlinico Gemelli- il melanoma uveale poco ha a che vedere con il melanoma della cute o delle mucose. È una malattia completamente diversa sia come pattern di diffusione, che dal punto di vista molecolare. Quello uveale è un tumore molto aggressivo che può dare metastasi al fegato o recidive in oltre metà dei pazienti, già nell’arco dei primi anni dalla diagnosi. Differenze si riscontrano anche a livello molecolare: quasi metà dei pazienti con melanoma cutaneo presenta la mutazione BRAF, che è invece molto rara nei melanomi uveali (che non sono dunque suscettibili di trattamento con i farmaci anti-BRAF e anti-MEK). In questi tumori invece sono di frequente riscontro le mutazioni di GNAQ e GNA11, che potrebbero diventare il tallone d’Achille di queste neoplasie, con la messa a punto di farmaci a target. È possibile inoltre prevedere il rischio di ricaduta, attraverso la caratterizzazione genetica. I pazienti con monosomia del cromosoma 3 o amplificazione del cromosoma 8, sono quelli a maggior rischio di recidiva”.

TRATTAMENTO. “Il primo step – spiega il professor Schinzari – consiste in un trattamento locale, attraverso forme particolari di radioterapia (una terapia protonica o brachiterapia con placca di rutenio), che offriamo ai nostri pazienti in collaborazione con il dottor Luca Tagliaferri, direttore della UOC di degenza di Radioterapia Oncologica del Gemelli. In alcuni casi è possibile trattare con approccio locoregionale anche eventuali metastasi, in collaborazione con il professor Francesco Cellini, radioterapista oncologo”. Nelle forme di maggiore dimensioni è necessario invece procedere all’enucleazione del bulbo oculare, seguita da impianto di protesi.

Ma per ridurre il rischio di diffusione a distanza (metastasi epatiche) è necessario fare anche una terapia sistemica. Fino a poco tempo fa non c’erano farmaci specifici per il melanoma uveale e venivano dunque mutuati dalle altre forme di melanoma (cutaneo o mucoso), come l’immunoterapia, ma con scarso successo (percentuale di risposta inferiore al 10%). Al momento non ci sono ancora terapie approvate per la fase peri-operatoria, ma sono in fase avanzata di sperimentazione delle molecole molto promettenti.

“Per le forme avanzate (non resecabili o metastatiche) – spiega il dottor Rossi - abbiamo a disposizione il tebentafusp, un immunoterapico innovativo, una proteina di fusione bispecifica, in grado di ‘avvicinare’ le cellule tumorali (legandosi alla glicoproteina 100, esposta sulla superficie delle cellule di melanoma) ai linfociti T (legandosi al CD3), creando una ‘sinapsi immunologica’. Questo trattamento è riservato però ai pazienti adulti con positività per HLA-A*02:01 (si individua con un test sul sangue), presente solo in un terzo circa di questi pazienti. Il farmaco sarà presto vagliato nell’ambito di uno studio clinico internazionale, l’ATOM (al quale prendono parte anche tre centri italiani, tra i quali il Gemelli) in fase adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico o la radioterapia) nei pazienti ad alto rischio, per vedere se è in grado di ridurre il rischio di recidiva”.

Ma la ricerca di trattamenti per questo tumore raro corre veloce in questo momento storico. “Per quel 70% dei pazienti non eleggibili alla terapia con tebentafusp (perché HLA-A*02:01 negativi) la nuova speranza viene dall’IDE 196-002, uno studio internazionale di fase 3 registrativo, sul darovasertib associato a crizotinib. “Il nostro centro, che è stato il primo a partire in Italia lo scorso ottobre – ricorda il dottor Rossi - ha arruolato il primo paziente in Europa. Darovasertib è un farmaco sperimentale che blocca la proteina PKC (protein chinasi C), che presenta un’attività anomala nei pazienti portatori di una particolare mutazione genetica (GNAQ/GNA11), presente nel 90% circa dei pazienti con melanoma uveale. Il crizotinib invece, un farmaco già approvato per il trattamento di alcune forme di tumore del polmone, blocca la proteina MET che, se iperattiva può stimolare la crescita delle cellule tumorali; la maggior parte dei tumori uveali ha un’espressione aumentata di MET e questo potrebbe contribuire alla loro crescita e diffusione. Lo studio arruolerà oltre 400 pazienti nel mondo (presso i 66 centri partecipanti nel mondo); i risultati sono attesi nel 2028”.

“Il gruppo di trattamento ‘melanoma uveale’ del Gemelli, un team di oncologi, oculisti e radioterapisti – ricorda il professor Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore del Clinical Cancer Center del Gemelli - è dunque in grado di offrire ai pazienti con melanoma uveale non solo i migliori trattamenti ‘stato dell’arte’  ma anche l’accesso a terapie sperimentali, non ancora disponibili nella pratica clinica, attraverso l’arruolamento nei trial clinici internazionali. Ma la forza del nostro Centro sta nel valutare ogni singolo caso con tutti gli specialisti coinvolti nell’aspetto diagnostico (radiologia, medicina nucleare, anatomia patologica, genetica).  Affidarsi ad un centro specializzato è dunque vitale. Purtroppo vediamo ancora tanti pazienti con melanoma uveale sotto-trattati o gestiti come se avessero un melanoma cutaneo. Il centro del Gemelli è tra quelli che vede il maggior numero di pazienti in tutta Italia. I pazienti con melanoma uveale sono rari e le terapie ad oggi sono molto limitate. Per questo è bene che siano indirizzati nei centri dove sono in corso dei trial clinici, per poter offrire loro ulteriori opzioni terapeutiche”.

Anche la cultura serve a fare prevenzione. Mentre tutti conoscono i melanomi della pelle, molto meno noti sono i melanomi uveali. Per questo, il professor Giovanni Schinzari e il dottor Ernesto Rossi hanno organizzato al Gemelli, una masterclass su questi tumori rari, con una lecture del professor Richard D. Carvajal, Direttore dell’Oncologia Medica, Northwell Health Cancer Institute di New York, uno dei maggiori esperti mondiali sull’argomento.

Maria Rita Montebelli

In foto da sinistra a destra Giovanni Schinzari, Ernesto Rossi, Richard D. Carvajal, Giampaolo Tortora

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