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Farmaci high-tech per proteggere i polmoni dalla fibrosi

12 June 2020

Arruolati a Roma (uno al Gemelli, l’altro allo Spallanzani) i primi due pazienti del trial clinico FibroCov che testerà il pamrevlumab, un anticorpo monoclonale anti-fibrosi polmonare. Lo studio, randomizzato, in aperto, valuterà efficacia e safety del nuovo farmaco rispetto alle terapie standard, nei pazienti con grave infezione da coronavirus 2019 (COVID-19). La ricerca, approvata a inizio maggio dall’AIFA, è coordinata dal professor Luca Richeldi, direttore della UOC di Pneumologia presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ordinario di Medicina Respiratoria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, e dal dottor Fabrizio Palmieri, Direttore dell’UOC Malattie Infettive dell’Apparato Respiratorio, INMI ‘L. Spallanzani’ IRCCS. Il farmaco è stato concettualmente mutuato dalla fibrosi polmonare idiopatica; di converso, l’esperienza COVID ha dato un grande impulso ai modelli di tele-monitoraggio domiciliare dei pazienti con patologie polmonari croniche, che potranno avvalersi di sistemi di monitoraggio da remoto della temperatura, saturazione di ossigeno, spirometria domiciliare e auscultazione digitale. Lo studio FibroCov è reso possibile grazie al supporto della ditta statunitense FibroGen, produttrice della molecola, che ha donato il farmaco per lo studio, e al contributo della Fondazione Carla Fendi, già impegnata sul fronte della lotta al COVID-19.

professor Luca Richeldi

I pazienti con forme gravi di COVID-19 presentano una polmonite interstiziale bilaterale che provoca una ridotta ossigenazione e una grave insufficienza respiratoria. La somministrazione del pamrevlumab, un nuovo anticorpo monoclonale, potrebbe proteggerli dalle conseguenze immediate dell’infezione (sindrome da distress respiratorio acuto) e, più avanti nel tempo, dalla fibrosi polmonare.“A 4-6 settimane dalla dimissione – afferma il professor Richeldi – nel 30% circa dei pazienti guariti dalla COVID-19 abbiamo riscontrato un deficit dei volumi e della diffusione del monossido di carbonio, cioè un danno polmonare che al momento non sappiamo se temporaneo o permanente. Gli esiti fibrotici post-COVID sono un tema già attenzionato (vista l’esperienza con la SARS e con la MERS) e, sulle principali riviste scientifiche, stanno uscendo diversi studi ed editoriali sull’argomento. Abbiamo dunque pensato di utilizzare nei pazienti con COVID-19, il pamrevlumab, un farmaco in fase 3 di sperimentazione per la fibrosi polmonare idiopatica.”

Lo scorso 5 maggio l’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato la sperimentazione FibroCov, uno studio di fase 2/3, in aperto, randomizzato a due gruppi paralleli, tutto ‘romano’ (sono coinvolti il Gemelli e lo Spallanzani), che si propone di valutare efficacia e sicurezza nei pazienti con COVID-19 di pamrevlumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il connective tissue growth factor (CTGF).Questo farmaco è attualmente nella fase 3 di sperimentazione per la fibrosi polmonare idiopatica, sulla base degli incoraggianti risultati dello studio randomizzato di fase 2 PRAISE,pubblicato a inizio anno (L. Richeldi et al, Lancet Respir Med 2020;8:25-33).

Lo studio sui pazienti con COVID-19

Lo studio FibroCov arruolerà 68 pazienti ricoverati per COVID-19. Endpoint principale dello studio sarà la durata del supporto ventilatorio meccanico invasivo o non invasivo (NIV, CPAP via ‘casco’), oltre alla possibilità di ridurre gli esiti fibrotici nel polmone e la mortalità a questi correlata.

Oltre allo studio italiano, sono partiti in contemporanea altri due trial ‘gemelli’ negli Stati Uniti per valutare gli effetti del farmaco sia in fase acuta che a lungo termine.

dottor Giacomo Sgalla

“Il reclutamento dei pazienti per lo studio FibroCov – spiega il dottor Giacomo Sgalla, pneumologo presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS, sperimentatore co-principale dello studio – avviene sulla base di criteri quali un’infezione documentata da SARS-CoV-2, la presenza di insufficienza respiratoria acuta e l’evidenza radiologica di polmonite interstiziale. Una volta verificata l’eleggibilità, il paziente viene randomizzato per ricevere il farmaco sperimentale, preparato presso la Farmacia ospedaliera del Gemelli o lo standard di cura. Il periodo di trattamento può durare da un minimo di 2 fino a un massimo di 11 settimane. Durante questo periodo e nel successivo follow-up i pazienti saranno monitorati per la rilevazione di eventuali eventi avversi e dei parametri di efficacia. Un processo infiammatorio molto importante in fase acuta – spiega il dottor Sgalla – può causare degli esiti fibrotici diffusi che possono arrivare ad incarcerare i polmoni, a renderli rigidi, impattando sulla funzionalità ventilatoria; come è noto poi le cicatrici non tornano indietro. Il pamrevlumab viene utilizzato nella speranza di riuscire a risolvere più velocemente la fase acuta di malattia e a bloccare l’instaurarsi delle potenziali sequele fibrotiche.”

Il primo paziente è stato arruolato nello studio il 3 giugno: una prima analisi dei risultati verrà effettuata dopo l’arruolamento di 50 pazienti. Data l’imprevedibilità dell’evoluzione dell’epidemia nel nostro Paese, è al momento impossibile prevedere i tempi necessari per il completamento dello studio, che comunque rimarrà attivo per i mesi futuri.

Lo studio FibroCov è realizzato con il supporto de la FibroGen, che ha donato il farmaco per la sperimentazione, e dalla Fondazione Carla Fendi.

“Questo progetto – affermano Maria Teresa Venturini Fendi, presidente della Fondazione Carla Fendi e il vicepresidente Andrea Formilli Fendi – avvalora l’impegno che la Fondazione Carla Fendi porta avanti contribuendo a studi di ricerca scientifica. Sin dagli inizi della pandemia abbiamo supportato delle impellenti esigenze per il Columbus Covid 2 Hospital della Fondazione Gemelli. Ora, augurandoci di aver superato la fase critica, vogliamo guardare al futuro sostenendo l’importante studio di un nuovo farmaco che il Gemelli e lo Spallanzani, stanno portando avanti.”

Un nuovo anticorpo monoclonale contro la fibrosi. E non solo

Il fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF) è una proteina che svolge un ruolo centrale nei disordini fibrotici e proliferativi, caratterizzati da un eccesso di cicatrizzazione, portando nella fibrosi polmonare idiopatica a ridotti scambi gassosi a livello degli alveoli polmonari e a ridotta ossigenazione del sangue.Nella fase acuta della COVID-19 il CTGF può facilitare la fuoriuscita di liquidi dai vasi sanguigni, con invasione degli alveoli polmonari (edema polmonare). “E’ noto da modelli animali – spiega il prof. Richeldi – che il CTGF è aumentato anche nella sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), che si riscontra nelle forme più gravi della COVID-19.” L’eccesso di fibrosi indotta da CTGF gioca inoltre un ruolo importante anche in alcuni tumori, come quello del pancreas.

Pamrevlumab è il first in class di una nuova categoria di anticorpi monoclonali mirati ad inibire l’attività del CTGF (connective tissue growth factor). “Questo farmaco – afferma il prof. Richeldi – potrebbe giocare un ruolo importante sia nella fase acuta della COVID-19, che nella prevenzione degli esiti fibrotici”. Il farmaco è prodotto dalla FibroGen, una piccola company biotecnologica californiana, nata come spin-off dell’Università della California di San Francisco, che ha donato al Gemelli e allo Spallanzani il farmaco per lo studio FibroCov.

Dall’esperienza COVID il futuro del tele-monitoraggio dei pazienti IPF e con malattie polmonari croniche

“La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) – spiega il professor Richeldi, uno dei maggiori esperti mondiali sull’argomento – è la forma più aggressiva che si conosca di fibrosi polmonare; la causa è al momento sconosciuta anche se fattori genetici possono giocare un ruolo. In questa malattia il polmone ‘cicatrizza’ spontaneamente in maniera progressiva e perde la funzione di scambio dei gas, portando così ad una grave e progressiva forma di insufficienza respiratoria.”

La IPF, diagnosticata ogni anno a 5-8.000 nuovi pazienti in Italia, è una malattia ad andamento rapidamente progressivo (la sopravvivenza media dal momento della diagnosi è di circa 5-6 anni). Colpisce prevalentemente i maschi (75-80% di tutti i pazienti) e l’età media di insorgenza è intorno ai 65 anni, ma si cominciano a vedere anche pazienti più giovani. “A breve – annuncia il professor Richeldi – sfruttando l’esperienza fatta con i pazienti COVID all’Hotel Marriott, cominceremo a telemonitorare a domicilio i pazienti con fibrosi polmonare idiopatica. Accanto a strumenti che ci consentono di rilevare a distanza temperatura, saturazione dell’ossigeno, spirometria, contattiamo al telefono i pazienti e facciamo compilare loro questionari sulla qualità della vita. Pubblicheremo a breve su American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine questo modello, che riteniamo di cruciale importanza sia per superare le difficoltà di isolamento domiciliare nei pazienti COVID, ma anche per gestire in maniera più efficiente le malattie polmonari croniche. Questo sistema ci consentirà infatti di intercettare le riacutizzazioni dei pazienti cronici e di farli venire in ospedale solo quando strettamente necessario. E per il futuro stiamo lavorando anche ad un progetto di tele-auscultazione digitale sui pazienti con fibrosi polmonare”.

Gli unici due farmaci attualmente disponibili per la IPF sono il pirfenidone (approvato dall’EMA nel 2011) e il nintedanib (approvato dall’EMA nel 2015). Entrambi i farmaci si sono dimostrati in grado di ridurre il declino della FVC (capacità vitale forzata) nelle prove di funzionalità respiratoria ma non hanno modificato il quadro TAC torace ad alta risoluzione, né i sintomi o la qualità di vita dei pazienti. All’inizio dell’anno, Lancet Respiratory Medicine ha pubblicato i risultati dello studio multicentrico di fase II PRAISE, coordinato dal professor Richeldi e condotto su 103 pazienti con fibrosi polmonare; in questo trial il pamrevlumab (30 mg/Kg per infusione endovenosa ogni 3 settimane, per 48 settimane) si è dimostrato in grado di attenuare in maniera significativa il declino della funzionalità polmonare (FVC), ha ridotto la progressione di malattia e della fibrosi polmonare, come evidenziato dalla TAC torace ad alta risoluzione. Il farmaco è attualmente è in fase di valutazione nello studio di fase III denominato Zephyrus.

Maria Rita Montebelli

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