Conclusa la spedizione in Antartide I medici del Gemelli in prima linea al Polo Sud
Il 15 febbraio si è ufficialmente conclusa la XXXI spedizione italiana in Antartide che ha visto la partecipazione di due medici del Policlinico Gemelli: un anestesista, Salvatore Vagnoni ed un chirurgo d’urgenza, Maurizio Foco, praticamente l’intero staff medico, che con la loro presenza presso la base italiana “Mario Zucchelli” hanno assicurato l’assistenza sanitaria necessaria per portare a termine l’intera spedizione in condizioni di sicurezza.
Nella base italiana, situata a Baia Terranova, sul mare di Ross, durante l’estate antartica (nei mesi cioè che vanno da ottobre a febbraio) si svolge un’intensa attività di ricerca scientifica che spazia dalla geofisica alla glaciologia, dalla paleobiologia alla meteorologia e alla biologia marina. L’Antartide rappresenta infatti, proprio per il suo isolamento geografico e climatico e per la sua “storia” geologica una miniera di informazioni preziose per la ricerca scientifica internazionale.
Un programma di ricerca così ambizioso comporta un ingente impegno logistico per fornire il supporto tecnico necessario alla riuscita delle singole missioni scientifiche. Basti pensare agli spostamenti in un ambiente così impervio, agli approvvigionamenti alimentari, alla messa in funzione delle sofisticate strumentazioni scientifiche che, il più delle volte, devono essere collocate in località molto distanti dalla base, a diverse ore di volo e in condizioni ambientali a dir poco proibitive. Il luogo è fra i più inospitali del pianeta, con temperature che oscillano dai -35°C di inizio spedizione per arrivare intorno allo 0° della piena estate. Allontanandosi dalla costa di qualche miglio ci si trova esposti ai -40° del plateau antartico, con venti che, a volte arrivano anche a 300km/h.
In tali condizioni nessuna attività può essere considerata banale: anche una camminata su roccia o ghiaccio comporta un alto rischio; anche una semplice caduta può compromettere l’esito di una missione scientifica programmata da anni (senza contare i relativi costi).
Il personale incaricato dell’apertura, e tra questi il medico, arriva in una base rimasta chiusa per gli otto mesi dell’inverno antartico, a bordo di aerei con pattini al posto delle ruote che atterrano sul mare ghiacciato antistante la base. Da lì in poi inizia una attività frenetica ed è affascinante vedere come una località sperduta, isolata in mezzo al nulla si trasformerà nel giro di pochissimi giorni in una piccola città viva e operativa dove si lavora febbrilmente per portare a termine le missioni programmate entro i tempi prestabiliti, dettati dall’avvicendarsi delle stagioni. In questa “città” è indispensabile poter disporre di un’assistenza sanitaria qualificata in grado di far fronte 24 ore su 24 a qualsiasi emergenza. L’ospedale più vicino si trova infatti, in Nuova Zelanda, a circa 4000 km di distanza, raggiungibile con un volo che dalla base italiana trasferisca il paziente alla base americana di MacMurdo, distante circa 600 km, da dove un altro aereo trasporterà il paziente in un ospedale neozelandese: meteo permettendo, un tragitto che richiede 14-15 ore per gli spostamenti.
Il ‘bilancio’ dell’attività dei medici del Gemelli, accanto al trattamento di alcune banali patologie di ordine internistico, la diagnosi e il trattamento di traumi minori, registra due medevac, termine tecnico che sta per evacuazione medica, per due emergenze dovute in un caso a una trombosi venosa profonda, con il conseguente rischio di embolia polmonare e ad un politrauma.
MISSIONI SUBACQUEE SOTTO TRE METRI DI MARE GHIACCIATO
La XXXI spedizione si è caratterizzata però anche per una intensa attività subacquea svolta dai palombari della Marina Militare per portare a termine numerose attività scientifiche dei biologi marini. Le condizioni ambientali fanno sì che queste immersioni si caratterizzino come tecniche e ad alto rischio pur avvenendo a quote oscillanti tra i 25 e i 30 mt. Si svolgono, infatti, al di sotto di fori eseguiti su uno strato di ghiaccio marino spesso circa 2,70 mt, con temperatura dell’acqua oscillante tra i -1.8° e i -2°C. Le temperature esterne intorno ai -15°C, poi, possono rendere problematica sia la risalita alla superficie sia le attività del personale incaricato dell’assistenza. Tra i compiti del medico rientra anche la presenza attiva sul luogo di immersione e la gestione e il trattamento di un eventuale incidente decompressivo in camera iperbarica.
Non senza un pizzico di orgoglio possiamo dire che anche quest’anno la nostra Università ha avuto la possibilità di mettere al servizio del Paese il proprio bagaglio di competenze umane e professionali anche in uno dei luoghi più lontani del pianeta contribuendo alla riuscita dei numerosi progetti scientifici che la ricerca italiana conduce nel continente antartico, inserita in un più vasto contesto internazionale.