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Per l’artrosi del pollice arrivano le miniprotesi, ispirate a quelle dell’anca

11 April 2025
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Dolore e gonfiore alla base del pollice, impossibilità di compiere movimenti banali, come usare una spillatrice o un paio di forbici. Sono i campanelli d’allarme della rizoatrosi (artrosi della base del pollice, cioè dell’articolazione trapezio-metacarpale), la forma di artrosi più diffusa al mondo. Se nelle prime fasi la terapia è affidata ai tutori e alla terapia anti-infiammatoria, negli stadi più avanzati la soluzione diventa chirurgica. E l’introduzione di speciali mini-protesi progettate per l’articolazione trapezio-metacarpale del pollice ha segnato una svolta nel trattamento di questa condizione. Al Policlinico Gemelli vengono effettuati più di un centinaio di interventi per rizoartrosi l’anno.

A volte il dolore è così forte da non far riposare la notte; la base del pollice appare gonfia e arrossata e non si riescono più a fare movimenti che richiedano l’uso del pollice, come usare una spillatrice o svitare un barattolo. All’esperto, un ortopedico specialista in chirurgia della mano, la diagnosi appare subito evidente; la radiografia della mano serve a confermarla e a fornire dettagli anatomici e di stadio della malattia.

Si tratta della rizoartrosi (artrosi della base del pollice), una malattia degenerativa infiammatoria dell’articolazione tra il trapezio e il primo metacarpo del pollice. È la più frequente forma di artrosi nel mondo e la sua frequenza aumenta con l’età; si stima che a soffrirne sia una donna su 4 e un uomo su 12 sopra i 70 anni, ma può colpire anche i giovani. Può esserci una predisposizione genetica e il fatto che sia più frequente tra le donne in età post-menopausale fa pensare anche ad un ruolo degli ormoni.

“Il pollice – spiega il professor Lorenzo Rocchi, associato di Malattie dell'apparato locomotore all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Ortopedia e Chirurgia della mano di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS– svolge una funzione fondamentale come ‘opponente’ rispetto alle altre dita (è quello che ci permette di afferrare gli oggetti grandi e piccoli). Per questa ragione possiede un’ampia libertà di movimento in varie direzioni, dovuta proprio alle caratteristiche anatomiche dell'articolazione trapezio-metacarpale, posta alla base della colonna del pollice, che permette di effettuare le pinze digitali. Da questo punto di vista quindi, la rizoartrosi può determinare una globale ed ingravescente invalidità delle mani. Molti dei movimenti del pollice sono resi possibili dalla particolare conformazione del trapezio, che presenta una superficie concava, a sella, simmetrica e speculare a quella del metacarpo. In molte persone affette da rizoartrosi, questa articolazione presenta imperfezioni morfologiche congenite, che contribuiscono al deterioramento della superficie cartilaginea delle due superfici articolari (del trapezio e del metacarpo), con conseguente evoluzione verso l'artrosi, una patologia infiammatoria degenerativa delle articolazioni. Per motivi morfologici, per microtraumi o traumi più gravi – spiega il professor Rocchi - la cartilagine può degenerare precocemente; questo fa sì che si crei un’interfaccia osso contro osso che determina reazioni infiammatorie importanti, fino alla degenerazione dell’articolazione, provocando dolore cronico e riduzione della funzionalità”.

È quindi a rischio di rizoartrosi chi è predisposto anatomicamente (spesso sono presenti più casi all’interno di una stessa famiglia); la situazione peggiora nel caso dei lavoratori manuali che compiano movimenti ripetitivi di opposizione pollice-dita lunghe, magari utilizzando strumenti da lavoro (ad esempio le cesoie del giardiniere), ma anche in chi si dedica ad attività hobbistiche o sportive.

Sintomi. È il classico dolore alla base del pollice, con segni di infiammazione (calore e gonfione), associati a limitazioni via via crescenti dell’articolazione e deformità ingravescenti del profilo anatomico.

Trattamento. “Nei primi stadi – spiega il professor Rocchi -  la rizoartrosi può essere trattata in maniera conservativa con tutori termoplastici che stabilizzano questa articolazione, spesso instabile in questi pazienti. Questi tutori possono essere già pronti (commerciali) o fatti su misura (custom made). Quelli di ultima generazione non bloccano tutto il pollice, ma stabilizzano solo la base del metacarpo. Vanno associate anche terapie anti-infiammatorie che possono essere farmacologiche (sistemiche o tramite infiltrazioni) o fisiche, spesso basate sul calore (come guanto di paraffina caldo, tecar, raggi infrarossi, laser terapia)”.

Nelle fasi medio-avanzate, quando ormai le superfici scheletriche si sono deformate ed è presente un contatto doloroso tra le due ossa, è ragionevole prevedere la soluzione chirurgica.

“Si ricorre all’intervento – spiega il professor Rocchi – nei casi di rizoartrosi dolorosa, invalidante, che peggiora la qualità di vita. In passato c’era solo l’intervento di artrodesi con viti o cambre metalliche, che toglieva il dolore, ma bloccava l’articolazione (determinando la fusione chirurgica del trapezio e del metacarpo).

Poi, negli anni ’90, si è passati ad interventi di legamento-plastica (tenoplastica), che prevedono l’asportazione del trapezio e la stabilizzazione del primo metacarpo, attraverso varie tecniche di sutura tendinea, seguite da un periodo di immobilizzazione in gesso. Questo intervento prevede il prelievo di alcune porzioni tendinee dirette al pollice, con le quali si confeziona una sorta di ‘amaca’, sulla quale sostenere e far muovere il primo metacarpo. Questi interventi, ancora molto utilizzati, a volte sono gravati da un periodo di invalidità post-operatoria medio-lunga (da 1 a 3 mesi) e da una perdita parziale della forza prensile, dovuta alla minor stabilità della legamento-plastica, rispetto all’articolazione originale, nel sostenere il metacarpo”.

La novità in questo campo è rappresentata dall’utilizzo di speciali protesi, studiate ad hoc per questa articolazione. Le prime protesi per la rizoartrosi, utilizzate soprattutto in Francia fin dagli anni ’90, avevano problemi biomeccanici, si lussavano facilmente e determinavano riassorbimento osseo, avendo quindi vita breve. “Dai primi anni 2000 invece – spiega il professor Rocchi – sono stati introdotti impianti per l’articolazione trapezio-metacarpale, ispirati alle protesi d’anca. Si tratta di protesi ‘modulari’, dotate cioè di vari componenti (stelo, collo, testa, coppa). Lo stelo viene inserito nel canale del metacarpo, mentre al centro del trapezio viene inserita la coppa.  Questi componenti sono ricoperti di un materiale poroso, che permette loro di integrarsi con l’osso e di mantenere la stabilità nel tempo.  Un collo con testina infine viene inserito nello stelo e centrato nella coppa. Tutti i componenti sono forniti in varie misure combinabili fra di loro, per ottenere la massima congruenza con l’anatomia scheletrica del paziente. Un’ulteriore novità degli ultimi anni, sempre mutuata dalle protesi d’anca, è la cosiddetta ‘doppia mobilità’, che riduce fin quasi ad azzerare il rischio di lussazione. Per eseguire la protesizzazione non è necessario asportare il trapezio. Si effettua solo una resezione di alcuni millimetri della base del metacarpo ed una regolarizzazione delle superfici riceventi. Questo permette di contenere in pochi millimetri la via di accesso chirurgica e quindi di ridurre il dolore post-operatorio.  Dopo l’intervento, la mano viene protetta con un bendaggio morbido (da mantenere per due settimane), che consente di muovere l’articolazione del pollice, già a ridosso dall’intervento. Al controllo ambulatoriale, si istruiscono i pazienti a fare esercizi riabilitativi; è possibile inoltre essere seguiti presso il servizio di fisioterapia della mano, recentemente riaperto al Policlinico Gemelli, per velocizzare la ripresa della funzionalità articolare”.

“È importante sottolineare – conclude il professor Rocchi - che l’intervento di artoplastica protesica dell’articolazione TM è indicato soltanto in una parte delle persone affette da rizoartrosi; quando la patologia è in stadio avanzato, con deformità importanti delle componenti scheletriche e artrosi diffusa anche alle articolazioni circostanti, la trapeziectomia totale resta l’intervento di scelta. Inoltre per alcune categorie di pazienti, in particolare per chi svolge lavori manuali pesanti, l’impianto protesico non è indicato.  Una visita specialistica presso l’ambulatorio di chirurgia della mano costituisce la scelta migliore per orientarsi nelle diverse possibilità di trattamento di questa patologia”.

Maria Rita Montebelli

da sinistra: Leopoldo Arioli, Rocco De Vitis, Arturo Militerno, Gianfranco Merendi, Lorenzo Rocchi, Maurizio Marinangeli, Emanuele Gerace, Camillo Fulchignoni
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