Storie di bisturi: il Gemelli nelle sale operatorie del mondo
“Giustizia, libertà e prosperità” è il motto del Sud Sudan, il più giovane Stato del mondo, nato nel luglio 2011, dalla separazione dal Sudan. Ha solo 7 anni. Ma di strada ne deve fare ancora molta. Almeno per raggiungere gli obiettivi dichiarati dalle Istituzioni.
Nel dicembre del 2013 è scoppiato un conflitto etnico tra le forze governative del presidente Kiir (di etnìa dinka) e quelle fedeli all’ex vicepresidente Machar (di etnìa nuer). Ma i 12,6 milioni di abitanti (2 milioni sono stati falciati dalle varie terribili guerre civili; 4 milioni sono i rifugiati), che vivono soprattutto nelle aree rurali dove praticano un’economia di sussistenza, sono articolati in numerosi altri gruppi: gli Shilluk, gli Acholi e i Lotuhu… Sappiamo bene che - purtroppo, molto spesso - tanta frammentazione, in ambiti di estrema povertà, aiuta poco la prosperità, ma soprattutto la libertà e la giustizia.
(rubrica a cura di Luca Revelli)
Sud Sudan: la chirurgia di guerra
di Maurizio Foco*
Ginevra. Una grande Organizzazione Internazionale seleziona specialisti per operazioni delicate in aree socialmente instabili: sono stato scelto come chirurgo di uno dei Mobile Surgical Team (MST composto da: un chirurgo, un anestesista, due infermieri, un rappresentante dell’Organizzazione). Destinazione Sud Sudan. Alla convocazione ero contento. Felice che le mie prove erano andate bene e che il mio curriculum mi aveva fatto scegliere.
Non avevo, però, piena e perfetta consapevolezza della situazione in cui mi sarei andato a cacciare. Conoscevo il Sudan per ben altri motivi. Appassionato di immersioni subacquee, conoscevo le meravigliose acque del Mar Rosso, la vera “Università” delle scuole di immersioni. Ma dire Port Sudan è un po’ come parlare di una Svizzera africana. Nel “Sud” – a quasi tremila chilometri di distanza - è tutta un’altra storia.
Uno scatolone di sabbia e polvere, ma anche di foreste tropicali, paludi e praterie: ovunque situazioni di pericolo e allerta perenne.
Dopo una settimana di addestramento nelle sale operatorie dell’Ospedale della capitale Juba, il nostro team è stato inviato a Malakal, una zona decentrata, devastata - venti giorni prima - da uno scontro, feroce e sanguinario, tra ribelli e lealisti (500 morti in ventiquattr’ore e centinaia di feriti da arma bianca e da armi da fuoco).
Gli spostamenti avvenivano con i Twin-Otter, piccoli aeroplani bimotore a elica, o con elicotteri che ci lasciavano in loco, dopo che l’ONU aveva creato il corridoio di sicurezza. Medici senza Frontiere, in nostra assenza e senza chirurghi, aveva assistito al meglio le centinaia di feriti.
La seconda missione si è svolta nel piccolo villaggio di Dorrein, dove la popolazione ci ha accolti festosamente con grande gioia e affetto. Ma la parte più pericolosa della missione si è svolta nel villaggio di Old Fangak, a poche centinaia di metri da luoghi flagellati dagli spari della guerriglia: dalla riva opposta del fiume sul quale eravamo accampati (un affluente del Nilo Bianco) e dalla quale arrivavano i feriti.
Un vero ospedale da campo in prima linea. Un giorno un colpo di fucile ha attraversato la tenda dove, una nostra collega, stava curando un giovane ferito. Il colpo è passato a pochi centimetri dal medico. Una situazione molto pericolosa. Ma, quando ti immergi in queste realtà, perdi il contatto con quello che è normale e quello che non lo è. La collega (giustamente) terrorizzata è scappata urlando.
A quel punto l’emergenza era l’auto-salvamento. Sono arrivati gli elicotteri e siamo stati evacuati d’urgenza da Old Fangak senza poter portare totalmente a termine il tanto lavoro iniziato. I comandi militari avevano previsto una nuova imminente azione dei ribelli. E’ stato frustrante lasciare i nostri operati Per fortuna, pochi giorni dopo, un altro team ha potuto continuare e concludere il nostro lavoro.
Nonostante, all’epoca di questa esperienza, avessi già svolto la prima di due missioni in Afghanistan - esperienza non facile, sia dal punto di vista fisico che psicologico - la missione in Sud Sudan è stata certamente la più intensa che ho affrontato. Pericolo continuo, allerta perenne, ma anche con un indimenticabile contatto diretto con le popolazioni e con luoghi pieni di fascino.
*chirurgo d’urgenza