Storie di bisturi: il Gemelli nelle sale operatorie del mondo
La luce ha un forte significato evocativo e simbolico. A maggior ragione a Kimbau, nel cuore dell’Africa nera. La “prima lampadina” si accende davanti agli occhi di Chiara Castellani - un’icona del Policlinico Gemelli - e davanti a quelli, forse ancora più stupiti di Anna Rita Fetoni che qui racconta la sua missione in Congo. Chiara Castellani è originaria di Parma, medico e missionaria laica, laureata nel 1981 all’Università Cattolica e specializzata in ginecologia e ostetricia. Dal Nicaragua dove diventa - per necessità - chirurgo di guerra al Congo, Castellani è Alto Ufficiale della Repubblica e "Nobel Missionario" nel 2000 consegnato dall'Associazione Cuore Amico di Brescia, nonché?vincitrice del Premio Scanno per la Medicina nel 2006. Le sue esperienze sono raccontate nel libro “Una lampadina per Kimbau”.
(rubrica a cura di Luca Revelli)
Ho visto accendersi la lampadina a Kimbau
di Anna Rita Fetoni
Ero ancora una specializzanda quando, affacciandomi per caso in Aula Brasca, sentii Chiara Castellani, già orgogliosa studente della Cattolica, parlare della “sua Africa”, la Repubblica Democratica del Congo, un paese lontano, remoto, sterminato, poverissimo, ma anche ricchissimo di preziose materie prime. Parlava di un posto affascinante: Kimbau, un villaggio del Bandundu (regione a circa 300 Km ad est della capitale Kinshasa) dove lei era Direttore di un Ospedale che tornava a vivere, dopo l'abbandono dei belgi negli anni Sessanta. Nell’Ospedale di Kimbau mancava tutto, ma lei nutriva un grande sogno: portare la corrente elettrica.
L'ascoltavo affascinata da questa immagine di donna determinata a fare arrivare l'amore di Dio e le cure là dove non c’è niente, neanche una lampadina. Pensavo: come si può curare, fare le urgenze di notte, fare interventi chirurgici senza luce elettrica?
L’occasione di lavorare accanto a Chiara Castellani arrivò, una volta specializzata, proposta dal prof. Pasquale De Sole, presidente di AUCI (la Onlus Associazione Universitaria per la Cooperazione Internazionale che supporta i progetti di cooperazione e sviluppo della nostra Università): avrei tenuto i corsi di Otorinolaringoiatria agli studenti dell'Istituto Superiore Tecnico Medico (ISTM) di Kenge e alla la scuola infermieristica di Kimbau.
Nel Congo ci sono specialisti in ORL solo a Kinshasa. Per chi abita lontano dalla capitale è molto difficile e costoso farsi curare. Quando accettai, non pensavo che il posto fosse cosi povero e con tante avversità. Avevo sentito e visto le immagini di Kimbau e mi aspettavo un'esperienza forte;?allo stesso tempo si trattava principalmente di insegnare, l’aiuto più grande che si possa dare è fare formazione e supportare i medici e gli Infermieri che ogni giorno alleviano le sofferenze e salvano la vita senza adeguate attrezzature.
Avevo l’opportunità non solo di aiutare i pazienti e i colleghi nel lavoro per quelle quattro settimane, ma soprattutto di lasciare loro un po’ delle nostre conoscenze e portare alcuni strumenti con le quali loro stessi avrebbero potuto curare meglio i tanti malati: anche un Otorinolaringoiatra può fare molto, perché in Africa, si muore ancora di complicanze dell’otite media o di sinusite. I bambini muoiono per infezioni intrattabili dopo aver messo un granello di riso nel naso o nell’orecchio, o per un ascesso dentario. C'è poi il dramma della sordità causata dai farmaci per combattere la malaria e dalla meningite batterica, per la quale non vi è cura, senza la possibilità di protesizzazione e che porta all’emarginazione e talvolta l’abbandono da parte della famiglia di questi pazienti.
In partenza, all’aeroporto, ci siamo ritrovati in tre, io l’unica senza esperienza d’Africa: Lorenzo, farmacista romano, avrebbe riorganizzato la farmacia dell'ospedale; Domenico avrebbe promosso progetti agricoli collaterali alle attività dell’Ospedale per dare sostentamento alle famiglie di Kimbau e in particolare di coloro che svolgono servizio nell’Ospedale e che dallo Stato congolese non ricevono salario o lo ricevono saltuariamente. Ma alla partenza non immaginavo che avrei assistito al miracolo: l’accensione della prima lampadina nell’ospedale di Kimbau. È difficile immaginare cosa voglia dire illuminare il buio sconfinato dell'Africa! Non dimenticherò mai quella sera di aprile del 2008, dopo una grande festa con le autorità, i balli della gente di Kimbau, il vino di palma, le giostre dei bambini: calato il silenzio, dal mio alloggio guardai la luce diffusa dall’ospedale in lontananza: significava accendere non solo le tenebre, ma aprire ad una nuova speranza per quella gente. Chiara era riuscita a coronare il suo sogno di una centrale idroelettrica per produrre energia da utilizzare nell’ospedale e nelle case, grazie all’aiuto di molti che dall'Italia avevano mandato strumenti e denaro, di uomini generosi e capaci come Mario e Paolo - rimasti lì mesi per far partire la centrale - ma soprattutto grazie alla sua determinazione nel portare avanti un progetto piccolo, ma faraonico per quella terra. Un ospedale dimenticato da tutti diventava l’avanguardia per la Repubblica Democratica del Congo, dissero i politici all'inaugurazione, nessun altro aveva l’energia elettrica nel raggio di centinaia di chilometri. Quelle settimane sarebbero trascorse senza che me ne rendessi conto: la luce elettrica permetteva, dopo le lezioni durante il giorno, di dedicarmi all’ambulatorio fino a sera tardi. Venivano a chiamarmi per la cena, lasciavo lì i pazienti che potevo vedere anche dopo, mi dicevo “non ti preoccupare tanto abbiamo la luce!”. Potevo usare il videoproiettore senza dover accendere il motore del generatore, usare la benzina era enormemente costoso e si poteva fare solo per qualche momento: ora si potevano vedere tutte le immagini di anatomia e di fisiologia che volevamo e si potevano discutere insieme le foto delle patologie. Grazie anche alla disponibilità del mio Direttore, prof. Gaetano Paludetti, dei miei Colleghi dell'Istituto di Otorinolaringoiatria che mi hanno coperto nei turni durante la mia mancanza dal Gemelli, sono tornata ancora a Kimbau ed i miei racconti hanno contagiato altri Colleghi dell’Università Cattolica, due anni dopo è venuta con me la prof. ssa Diana Troiani, che ha tenuto il corso di Fisiologia umana. Ogni volta è una nuova esperienza e la possibilità di trasmettere formazione è più importante e grande del numero di pazienti che puoi visitare e curare in quelle settimane strappate alla lavoro al Gemelli. Il legame resta e continuiamo a mandare materiale medico e didattico, ma ora l'ospedale di Kimbau e Chiara aspettano altre sfide da affrontare, con la speranza che il nostro aiuto sia un piccolo seme da far germogliare in quella terra martoriata da una guerra infinita e nascosta e dalla povertà, dove i bambini possano crescere e trovare quella serenità che gli permetta di non dover scappare via.