Fondazione Policlinico Gemelli e MediCinema Italia insieme per un progetto di cine-terapia
Nato da un’iniziativa congiunta della UOS di Psicologia Clinica di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e MediCinema Italia Onlus, che ha coinvolto 34 pazienti oncologiche in trattamento al Gemelli, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cancers e raccontati dalle stesse pazienti attraverso il docu-film ‘Il tempo dell’attesa’, per la regia di Rolando Ravello, prodotto da Medicinema Italia in collaborazione con Medusa Film e realizzato con il sostegno di Roche Italia.
Il cinema, accompagnato dalla psicoterapia, può rappresentare un ‘enzima’, un catalizzatore dell’elaborazione del vissuto di una paziente, alle prese con una malattia difficile come il tumore, che frattura l’esistenza in un ‘prima’ e un ‘dopo’, rischiando di cristallizzare il flusso della quotidianità e il senso stesso della vita. Gli stati d’animo fatti emergere dalla visione di diversi film e rielaborati subito dopo la proiezionein sedute di psicoterapia di gruppo, hanno consentito a un gruppo di 34 donne, di riallacciare la linea fratturata delle loro esistenze. E soprattutto di scoprire dentro di sé una forza inedita, prezioso complemento delle cure oncologiche. I risultati di questo progetto di cine-terapia sono stati pubblicati su Cancers, mentre il docu-film ‘Il tempo dell’attesa’ racconta in prima persona l’esperienza di una decina di pazienti oncologiche,coinvolte in questo percorso sperimentale di cine-terapia, offerto loro in parallelo alle cure oncologiche. Un film-documento, realizzato con le stesse protagoniste, filmando in prima persona schegge di vita, con il linguaggio immediato e senza censure della ‘GoPro’, (videocamera portatile) mentre si vive l’attesa della fine delle cure, dell’esito del trattamento o semplicemente della risposta di un esame.
Una narrativa che restituisce allo spettatore con immediatezza, la sensazione di un tempo sospeso, ma non precluso alla vita. Così, da un’idea del regista Rolando Ravello (David di Donatello per la sceneggiatura di ‘Perfetti sconosciuti’, 2016), è nato il docu-film ‘Il tempo dell’attesa’, prodotto da MediCinema Italia con Medusa Film e il sostegno di Roche Italia, presentato oggi in anteprima nella sala MediCinema al Gemelli, alla presenza dell’autore e delle protagoniste, donne tutte accomunate dall’essere in trattamento per un tumore.
È il punto d’approdo di un progetto di ricerca clinica ideato dalla dottoressa Daniela Chieffo, responsabile della UOS di Psicologia Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dal professor Giovanni Scambia, che si è avvalso di un protocollo di cineterapia messo a punto da Marina Morra, MediCinema Manager di MediCinema Italia Onlus
“Le patologie tumorali femminili – spiega il professor Giovanni Scambia, direttore della UOC di Ginecologia oncologica, Direttore Scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università Cattolica, campus di Roma - sono caratterizzate da una complessità che deve tener conto non solo delle implicazioni fisiche, ma anche psicologiche. A essere colpita è l’essenza stessa dell’identità femminile e questo genera importanti conseguenze psico-sociali. Oltre alla cura del corpo, è fondamentale dunque prendersi cura del benessere psichico di queste pazienti, anche con strumenti innovativi come il cinema, per aiutarle a recuperare una buona qualità di vita. E siamo dunque grati ad un’associazione no profit come MediCinema, che utilizza il cinema per fare terapia all’interno del nostro grande ospedale e istituto di ricerca, che ha come mission la personalizzazione dei trattamenti”.
L’idea alla base del progetto è che il processo di cura oncologico possa trarre beneficio non solo dalle cure tradizionali, ma anche da quelle‘complementari’, in questo caso dalla cineterapia, che seguono il viaggio della malattia, rimanendo sullo sfondo. In questo contesto, le cure psicologiche sono finalizzate all’elaborazione di momenti difficili o traumatici, come quello della diagnosi, e aiutano ad affrontare temi ‘sensibili’ come quello della fertilità, della genitorialità e a volte anche del fine vita.
“Il tempo dell'attesa” – afferma Fulvia Salvi, Presidente Medicinema Italia- “rappresenta il primo modello strutturato di intervento in ambito oncologico ginecologico con l'utilizzo della cineterapia e della psicologia clinica. Siamo orgogliosi di aver raggiunto, grazie ad un importante lavoro di team, un traguardo così importante nella medicina complementare, che oggi rappresenta la necessaria integrazione alla medicina tradizionale. Con questo fondamentale risultato si è voluto evidenziare l'importanza della cura del paziente innanzitutto come persona, con tutto il supporto alla sua fragilità e difficoltà nel difficile percorso della malattia. La giusta integrazione tra la medicina e l'umanizzazione della cura, hanno reso possibile questo importante progetto che auspichiamo diventi un modello replicabile in ogni reparto per pazienti oncologici”.
“Abbiano chiesto a Rolando Ravello” – ricorda Marina Morra, Medicinema Manager Lazio – “proprio per le sue qualità di saper raccontare con leggerezza ed empatia situazioni emotivamente forti, di poter girare questo racconto. Il risultato è racchiuso in un docu-film di 60 minuti, in cui vince il cuore, si sorride, ci si commuove, ci si emoziona e si spera. Soprattutto si evidenzia ciò di cui hanno bisogno le pazienti oncologiche: essere ascoltate e incoraggiate. Questo lavoro sarà uno strumento utilissimo anche per i caregiver e i familiari, per aiutarli a offrire al meglio sostegno a queste pazienti”.
“Il progetto MediCinema-Gemelli – spiega la dottoressa Daniela Chieffo – “nasce con l’intenzione di dimostrare come, all’interno dell’ospedale, la proiezione di un film possa favorire anche una nuova forma del rapporto mente-corpo che, di fronte alla malattia, a volte viene perduta; nel percorso di cura spesso la persona è talmente concentrata sulla parte ‘organica’ delle cure, da alienarsi dalla vita quotidiana, da dimenticarsi del proprio sé. Il nostro progetto di cine-terapia è partito dalla proiezione di dodici film, selezionati per aree tematiche emozionali, che affrontavano temi destinati all’elaborazione di alcuni vissuti; le pazienti, dopo aver assistito alla proiezione, facevano degli incontri di psicoterapia di gruppo condotti da Letizia Lafuenti e Ludovica Mastrilli, per elaborare il loro vissuto. La visione dei film favoriva spesso una loro identificazione catartica con le protagoniste, le aiutava a ristabilire un’immagine affettiva con sé stesse e a non alienarsi, grazie anche alla potenza del gruppo, all’interno del quale condividevano i loro vissuti.In questo percorso, durato un anno, abbiamo monitorato a più riprese il cambiamento delle dinamiche intra-psichiche e delle variabili di benessere e promozione della salute, osservando una metamorfosi dalla trasparenza enigmatica che la malattia ti pone davanti, alla chiarezza indecifrabile di ciò che Sei”.
“In particolare” - prosegue la dottoressa Chieffo – “abbiamo misurato l’alessitimia, la self-efficacy (la capacità di creare e ritrovare la componente dell’auto-efficacia), tratti di personalità e la relazione diadica, con la figura del partner. Al termine del percorso di cineterapia abbiamo osservato una riduzione degli stati d’ansia e dei tratti depressivi e un maggior senso di empatia è stato rilevato un miglioramento del senso di auto-efficaciache ha contribuito a rafforzare l’alleanza terapeutica, sia rispetto all’aderenza alle cure, che nell’affrontare indagini strumentali”. Il gruppo arruolato in questo studio (pubblicato su Cancers) era costituito di 30 pazienti e il progetto, iniziato nel 2020, in piena pandemia di Covid-19, è durato un anno”.
“Al termine di questo processo terapeutico” – prosegue la dottoressa Chieffo – “grazie alla fattiva collaborazione di Medicinema Italia con Medusa Film e al coinvolgimento del regista Rolando Ravello, abbiamo pensato di raccontare la storia delle donne che avevano partecipato allo studio. Anzi, di chiedere loro di raccontarsi, da protagoniste. Una decina di loro ha accettato di raccontarsi, grazie anche al viaggio interiore mediato dal cinema, che aveva permesso di acquisire una maggior consapevolezza della malattia e un’elevazione della forza, come dimostrano alcuni temi raccontati nel docu-film. E questo è il risultato di un processo di elaborazione che sarebbe magari rimasto intrinseco e che invece, grazie a questo percorso, si è potuto manifestare e rappresentare. Così le pazienti sono passate dall’assistere ad un film, al trovarsi ‘davanti’all’obiettivo, pertrasferire visivamente il loro pensiero e la loro esistenza. Un esercizio che ci auguriamo possa rivelarsi terapeutico per altre persone che vivranno questo percorso di malattia”.
“Girare e realizzare questo film è stata una delle più belle esperienze della mia vita”– dichiara il regista Rolando Ravello.
“Siamo molto felici e onorati” – commenta il dottor Giampaolo Letta, Vice Presidente e AD di Medusa Film- “di essere partner dell'iniziativa congiunta della UOS di Psicologia Clinica di Fondazione Policlinico Gemelli e di MediCinema Italia. Medusa è da sempre in prima linea nel supportare iniziative di alto profilo etico, scientifico ed umano e il docu-film ‘Il tempo dell’attesa’, per la regia di Rolando Ravello, rappresenta in questo senso, non solo un progetto eccellente dal punto di vista cinematografico, ma anche e soprattutto uno straordinario punto di osservazione che mette in contatto risorse per lo più nascoste e silenziose, ma determinanti per assicurare a tanti cittadini una vita degna anche nella fragilità della malattia”.
“Siamo onorati di supportare questa iniziativa” - afferma Maurizio de Cicco, Presidente e Amministratore Delegato di Roche Italia – “Sono convinto che il racconto, in tutte le sue forme compresa quella cinematografica, abbia una valenza enorme perché è terapeutico per i protagonisti, è un aiuto per chi ascolta e riconosce sé stesso nell’esperienza di altri ed è un’occasione di crescita e conoscenza per chi non ha familiarità con questi temi. Dobbiamo creare un circolo virtuoso, e far sentire i pazienti meno soli nell'affrontare la patologia, sensibilizzando la comunità e creando un collante sociale sempre più forte. Come Roche portiamo avanti questo obiettivo da molti anni, oltre che con il supporto a iniziative lodevoli come questa, con l’istituzione del premio #afiancodelcoraggio, per valorizzare anche la prospettiva del caregiver”.
Il docu-film e l’impatto atteso sugli altri pazienti. ‘Il tempo dell’attesa’ è un docu-film di 60 minuti che contribuisce a umanizzare le cure e a suggerire che la malattia non deve paralizzare il flusso dell’esistenza, pur andando a rimodellare pesantemente la vita. Ma oggi le cure oncologiche danno la possibilità concreta di sfidare la malattia. “La visione di questo docu-film – spiega la dottoressa Chieffo - fa emergere come anche la forza della psiche possa contribuire al successo delle cure e suggerisce che, anche nei momenti difficili, legati a terapie impegnative o all’attesa dilaniante dei risultati degli esami, si debbaconcedere tempo alla cura”. Ecco il significato del titolo‘Il tempo dell’attesa’. Bisogna saper aspettare, vivere con pazienza anche il momento della malattia, che in qualche tratto del viaggio della vita può dare una sensazione di frattura, di arresto.
Le pazienti protagoniste del film sono una decina. Una delle storie più impattanti è quella di Melanie, affetta da un tumore ovarico, che racconta nel film tutto il suo percorso, fin dalla diagnosi compreso il momento in cui ha perso tutti i capelli; ha un viso fresco e pulito, dentro il quale è incastonato uno sguardo solido, che esprime una grande forza. Melanie non ha mai derogato alla sua vita durante la malattia, ha continuato a frequentare gli amici, ad uscire la sera, a dare forza ai suoi genitori. Anche la storia di Sabrina e della sua stomia è molto forte. Sabrina è una bella donna che, nonostante debba convivere con il ‘sacchetto’, non rinuncia alla cura della sua estetica e a fare sport. Molto commovente anche la storia di Clara che col suo accento romano, racconta anche i momenti più drammatici del suo percorso; i suoi contenuti sono stati tra i più significativi e impattanti.
Maria Rita Montebelli